Quinta puntata di "Senza paura" di Andrea Esposito

Il commissario Antonio Senese, vicecapo dell’UCS, mancava dall’isola d’Ischia da oltre sei anni. Ha passato su quello scoglio probabilmente i momenti più importanti della sua carriera che, prima di conoscere Marco Ranieri, si trascinava grigia, mediocre e stanca. Ischia è il luogo dove hanno risolto insieme la loro indagine più importante, quella che ha fatto conoscere all’Italia intera l’unità speciale, fondata dal suo illustre collega, e specializzata in crimini seriali… roba che fino ad allora l’avevano vista solo in tv: CSI, Criminal Minds e stronzate simili.
Solo dopo Ischia l’UCS ha iniziato a godere di stima e notorietà ai piani alti della Polizia di Stato, facendo finalmente aprire i rubinetti che – negli anni – le hanno assicurato un’erogazione di fondi, investimenti e risorse, economiche e tecnologiche, senza precedenti per l’Italia.
Adesso sono il meglio, ma Senese – uomo semplice e umile – è rimasto l’ariete che sfonda le porte a spallate e non dimentica il suo passato.
Occhiali da sole, camicia a scacchi, jeans e scarpe da ginnastica, porta un borsone di pelle su una spalla e non si separa mai dalla sua pistola, custodita nella fondina ascellare. Scende dall’aliscafo al porto di Forio e stringe la mano alla dottoressa Migliore, vicequestore a capo del commissariato di Ischia, e all’ispettore Ciro Carbone, un goffo e trasandato trippone dai baffetti sottili, che è il braccio destro della dirigente e gli risulta subito simpatico. C’è una certa affinità tra Senese e Carbone. Chi l’avrebbe mai detto! – pensa ironicamente Marco Ranieri – Nessuno di loro ne aveva alcun dubbio e aspettavano tutti il momento in cui i due si fossero conosciuti. Ma in quel momento l’ispettore Carbone concede solo uno sguardo fugace e una forte stretta di mano al collega Senese: le sue attenzioni, i sorrisi, le battute scialbe e un po' spinte, sono tutte per la dottoressa Penelope Arce, capo della squadra scientifica dell’UCS, che Carbone ha già ammirato in un’indagine di un anno prima che l’ha portata sull’isola. L’ispettore aspettava, a cazzo duro e acquolina in bocca, il momento in cui l’avrebbe potuta ammirare di nuovo… come un bambino che aspetta la seconda domenica in cui il papà lo porta allo stadio. Curve, tantissime morbide burrose sensuali curve! Questa era Penelope, fasciata nei suoi abitini mozzafiato dai colori pastello, mentre scendeva dalla passerella della navetta, sculettando come una puledra sudata. Le gocce le luccicavano sulle tette enormi, strizzate nel push-up.
- Cristo santissimo…- geme Carbone.
- Ciro, di nuovo? – lo sfotte la Migliore a bassa voce – Ogni volta che questa scende dall’aliscafo devi macchiarti le mutande? –
- Ssstt! Angela che cazzo, abbassa la voce, per favore… e vaffanculo pure, visto che ci sei! –
- Non ti permettere! – continua a prenderlo in giro mentre sorride ai nuovi arrivati e stringe le mani. Alla fine si volta di nuovo verso l’ispettore: - Sono sempre il tuo superiore, non te lo scordare –
Carbone sbuffa: - Allora, fai strada grande capo! Questi si sono messi in testa di trovare sul nostro scoglio, non uno, ma ben due bambini scomparsi… Ma tu ce pienze?! –
La Migliore imbarca tutti in tre auto e li scorta in commissariato. Due ragazzini scomparsi, figli di famiglie ricche e famose, nessuna delle due del posto. Ma c’è un sospetto. Possibile? La vicequestora nella sua lunga carriera – fatta di duro e noioso lavoro, con pochi picchi d’emozione - ha imparato che tutto è possibile, mai dire mai.
Lo zio Hernan intanto ha pian piano rimesso in piedi una specie di pandilla, l’embrione di una gang, un gruppo piccolo e agile, formato da pochi uomini fidatissimi, duri e senza scrupoli, picchiatori violenti, criminali pronti a tutto, silenziosi, che non tradiscono per niente al mondo, tutti salvadoregni. Meno di dieci persone, soltanto due traffici: droga e puttane, nient’altro. Lo zio Hernan ha grande esperienza: s’è fatto le ossa a Villa Mariona, ha fatto di tutto quand’era ragazzo, stupri, furti, estorsioni, spedizioni punitive, forse è anche un assassino ma in quel gran casino non ne è sicuro neppure lui. È stato al fianco dei capi della Mara Salvatrucha, la gang più grossa famosa e temuta del suo paese. Poi è sbarcato in Italia al seguito del Rey Supremo Juan Carlos Glem, il boss delle gang salvadoregne in quegli anni, e subito dopo agli ordini del suo successore, Bolivar Amaya, proprio lì sull’isola d’Ischia.
Lo zio Hernan, detto el Jefè (il capo) dagli uomini che ha sotto di lui, ha combattuto le guerre più cruente della sua mara-gang, soprattutto contro la criminalità organizzata dell’est-Europa che minacciava, in quegli anni, di togliergli il terreno da sotto ai piedi. Poi è caduto in disgrazia, è scappato, è finito a vivere nei sottoscala dei palazzi nei quali suo fratello Antonio, con la moglie Glory e i loro tre figli, fittava merdosi appartamenti nelle grandi città - Napoli, Roma - lui che ai tempi d’oro aveva due Rolex ai polsi e pagava in contanti anche le auto!
Pian piano, lo zio Hernan ha rimesso su un po' di traffici: ha riunito un po' di amici, li ha trasformati in soldati grazie alla sua esperienza fatta di cicatrici e strategie di guerrilla, e poi s’è fatto prestare un po' di soldi per comprare roba… Niente di grosso, nulla che desse fastidio a chi comandava le piazze di spaccio. Roba piccola, vendita al dettaglio per non restare senza far nulla da mattina a sera e avere in tasca i soldi per le sigarette e un paio di birre. La cosa era diventata più interessante quando sua cognata Glory era finita a lavorare come domestica in casa di quel pezzo grosso: l’onorevole Franco Buonomo, parlamentare di destra, un tipo gonfio come un pallone pieno di merda, pensava di lui lo zio Hernan. Ma quella famiglia di cafoni pieni di soldi era diventata ben presto la sua benedizione. I traffici s’erano allargati, el Jefe aveva cominciato a comprare più roba perché i Buonomo e i loro amici ricconi dei quartieri alti gliene chiedevano sempre di più e sempre di migliore qualità. Pian piano Hernan aveva ricominciato a vedere i soldi, quelli veri. Di tutto questo non doveva ringraziare certo quel coglione dell’onorevole, ma sua moglie: la signora Letizia era una che ci sapeva fare… infatti con lui c’aveva saputo fare, la troia!
Il commissario Antonio Senese e la dottoressa Penelope Arce, inviati dal loro capo Marco Ranieri sull’isola d’Ischia per indagare sulla famiglia Tumbaco, fanno un salto al commissariato locale. Giusto il tempo di sistemarsi in due uffici, attigui a quelli della vicequestora Angela Migliore. Soprattutto Penelope ha bisogno di spazio per le sue diavolerie tecnologiche e per le sue polverine magiche. Lasciano in ufficio il minimo indispensabile. Poi i due componenti dell’UCS si dividono.
La patologa italoargentina, insieme al capo della polizia locale, s’arrampica sul Monte Cretaio, la collina coperta di enormi alberi di castagno e abete, sulla quale è stata rinvenuta la mappa del quartiere romano dove abitano i Buonomo, con dentro quello che si presume sia il lobo dell’orecchio di Ciccio. Le due donne si somigliano in alcuni aspetti del carattere, anche se non nel fisico come invece Senese e l’ispettore Carbone. Sia Penelope che la Migliore non rinunciano ad indossare gli abiti classici ed eleganti che tanto amano (tailleur, minigonna, tacchi alti) anche in un luogo impervio, sdrucciolevole e fangoso come quello. Ma le affinità si fermano qui: Penelope ha il fisico statuario di un’antilope e prosperoso come quello di una pin-up, Angela Migliore sembra uno scaricatore di porto che ci da dentro di brutto coi pesi, spalle larghe come quelle di un wrestler, culo enorme e piatto come un frigorifero, di quelli grossi. Eppure le due donne si sorridono, chiacchierano, si scambiano pareri sui due rapimenti, mentre s’arrampicano lungo il pendio del Monte Cretaio, scortate da due agenti in borghese della polizia locale.
Il commissario Senese e l’ispettore Ciro Carbone piombano invece come falchi sul quartiere di Perrone, il rione popolare e popoloso nella zona settentrionale dell’Isola d’Ischia, lungo le cui stradine è solito ciondolare in quel periodo El Jefe, meglio noto agli inquirenti come lo zio Hernan Tumbaco.
Senese e Carbone non fanno tanti complimenti, come sono abituati.
Sembra che si muovano in simbiosi, senza bisogno di parlare, come se lavorassero insieme, allo stesso modo, da tutta la vita. Seguiti a ruota anche loro da due agenti in borghese, i due sbirri perlustrano vicoletti, retrobottega, cortiletti e giardini dietro alle abitazioni, oltre naturalmente ad entrare in ogni bar, ristorante, salumeria, fruttivendolo e maledetto mercatino del cazzo che si apre su quella dannata via di merda, che puzza di cavolfiore messo a bollire e di piscio di cani sotto ogni lampione e segnale stradale in ferro battuto.
Sotto l’ultimo di questi, c’è un ragazzo latino poggiato con la schiena al muro. È grosso e muscoloso ma è molto giovane e si fa sgamare subito: tiene la testa bassa, smufacchia una sigaretta ma si guarda intorno in continuazione, destra e sinistra, come fosse di guardia alla casetta popolare che è alle sue spalle. Una catapecchia in muratura con sopra un tetto di lamiera e un’antenna parabolica. Gli sbirri si fanno sotto:
- Polizia – gli dice l’ispettore Carbone, facendogli scivolare rapidamente sotto il naso il distintivo – Cerchiamo Hernan Tumbaco, lo conosci? –
- No intiende, capo – risponde strafottente il ragazzo.
- Andiamo, ragazzo… vuoi metterti nei guai? – lo minaccia Carbone.
- Non so di cosa parli capo… non so che cazzo vuoi – risponde il ragazzo sbuffando e voltando lo sguardo dall’altro lato.
Senese fa un passo avanti e gli tira un calcio in uno stinco. Il giovane latino si volta sorpreso e barcolla per il dolore. Il commissario lo afferra per il collo, lo sbatte al muro e lo fa girare, schiacciandogli il grugno sul palo del divieto di sosta. Mentre quello comincia a urlare:
- Hey, ma che cazzo fai, hombre?!?! –
Senese l’ha già ammanettato. Il latino comincia a divincolarsi e ringhiare parolacce. Il vicecapo dell’UCS allora lo colpisce con una ginocchiata nella schiena che gli spezza il fiato e finalmente lo zittisce. Poi gli afferra i capelli e gli sbatte una volta la testa contro il muro. Il naso del ragazzo sprizza sangue come un pomodoro schiacciato.
- Cristo santissimo! Vacci piano collega, qua stiamo a Ischia! – protesta Carbone. Senese scoppia a ridere e chiede al mulatto per l’ultima volta:
- Dov’è lo zio Hernan? – Il latino indica la casupola alle sue spalle.
Senese lo affida ai due agenti in borghese e ordina loro di portarlo via e infilarlo in macchina: - Sei in arresto, Cholo! – gli alita in faccia il commissario.
- Cholo? – chiede Carbone.
Senese annuisce: - Tu non hai visto le foto, non li conosci questi. Il ragazzo è il figlio di Glory e Antonio Tumbaco, i domestici dell’onorevole Buonomo, è il nipote di Hernan Tumbaco, il tizio che cerchiamo. Questi figli di puttana stavano tutti a Roma nemmeno una settimana fa, quando qualcuno ha fatto sparire il ragazzino –
- Porca puttana! - geme l’ispettore.
Senese si volta a guardarlo: - Cos’è che ti turba tanto, Carbone? –
- Niente, collega… È solo che con alcuni di questi negri di merda… ehm, come dire? C’ho messo una vita per conquistarmi la loro fiducia! –
Antonio Senese socchiude gli occhi e annuisce: l’ispettore Carbone è uno a cui piace azzuppare il pane anche nella squadra avversaria, è un mezzo corrotto, niente di così grave, è uno sciacallo a cui piace farsi la cresta sui pusher o sequestragli solo parte della roba e tenerla per se…uso personale, per carità, mica la spaccia! Il vice di Ranieri ne ha visti tanti di poliziotti come lui, gentaglia che non farà mai carriera ma che viene tollerata in polizia per far breccia in mezzo ai cattivi.
- Ascoltami bene, collega. A me non frega un cazzo di quello che combini qui sulla tua isoletta di merda, dei tuoi traffici da straccione, dei tuoi contatti con questa feccia. Continua a fare quello che hai sempre fatto, non sarò io a romperti le scatole… -
- Eh, buono a sapersi, commissà! – ridacchia Carbone.
- L’unica cosa che con me non devi fare è rallentarmi nelle indagini. Sono qui per cercare i due ragazzini scomparsi e basta
- Si capisce! -
- Non mettermi i bastoni tra le ruote per coprire o difendere qualcuno dei tuoi spacciatori del cazzo o dei tuoi informatori o anche solo una puttana che te lo succhia il sabato sera… o sei fuori
- Tranquillo, commissà – lo blandisce Carbone.
- Non hai capito… – Senese non si addolcisce, vuole essere chiaro – Vai fuori da tutto, non dall’indagine. Ti distruggo la vita, sono stato chiaro? – Non sembra incazzato, gli spiega semplicemente come funziona come se gli desse un consiglio su un cavallo da puntare alle corse o un sistema per vincere al totocalcio.
Carbone deglutisce e annuisce: - Assolutamente –
- Bene, sono contento. Adesso andiamo a prendere ‘sto stronzo! –
Entrano nella casetta col tetto in lamiera, sfondando la porta di legno marcio a calci, come nei film americani. Anzi anche peggio, perché quel cesso fa così schifo ed è così sfasciato che sembra sul punto di crollare ad ogni botta che prende la porta d’ingresso.
E’ un'unica stanza con un cucinino in un angolo e il bagno sulla destra. Arredamento al minimo: due comodini con due lampade dozzinali, un enorme televisore a schermo piatto, un tavolino di plastica con sopra bottiglie di alcolici e piste di coca su uno specchio rotondo. Sul letto matrimoniale al centro della stanza c’è steso lo zio Hernan, in un lago di sudore. È massiccio ma tozzo, con un po' di pancia. Catenone d’oro al collo con crocifisso come da copione, il corpo coperto di tatuaggi che sembrano fatti da un bambino delle elementari tanto sono brutti e storti. Sopra di lui una mulatta formosa e dal culone enorme si da da fare a ballargli sul cazzo, prendendoselo per bene tra le gambe e ansimando come se davvero stesse per raggiungere l’orgasmo più spettacolare del mondo. Quando si volta e vede gli sbirri, comincia ad urlare come una pazza.
- E voi chi cazzo siete?! – chiede stupefatto Hernan Tumbaco.
- Nettezza urbana… - dice Senese sorridendo - …questa bettola puzza come una discarica, el Jefe! Vestiti che ti portiamo a fare una doccia gelata. La signorina invece può restare, se vuole –
Lo zio Hernan viene trascinato di peso al commissariato di Polizia di Ischia, insieme a Cholo Tumbaco, il figlio maggiore di Glory. Appena la vicequestora Angela Migliore vede arrivare Senese e Carbone che scortano i due fermati, sorride compiaciuta. Poi, quando sono abbastanza vicino, scorge meglio i volti tumefatti dei due latinos e allarga la bocca, corrugando la fronte:
- Che cazzo è successo? – chiede stupefatta.
Sono a Ischia, posto relativamente tranquillo, i tutori dell’ordine non fanno certe cose e i loro superiori non sono abituati a certi metodi.
L’ispettore Carbone scoppia a ridere e indica il collega:
- Senese ha la mano pesante, capo. Io glie l’ho detto che con qualcuno di queste teste di cazzo, noi…cioè io… -
- Ciro, per favore, chiudi la bocca – lo gela la Migliore.
Senese non si scompone, non ha niente di cui giustificarsi. Sono loro che guidano l’indagine, è Ranieri che comanda. La Migliore e la sua squadra sono solo polizia locale, colleghi ai quali gli specialisti tolgono le castagne dal fuoco e in cambio devono beccare solo tanti ringraziamenti.
- Resistenza a pubblico ufficiale – dice il commissario.
- Ma vaffanculo! – ribatte Hernan Tumbaco – Stavo scopando e non m’hai dato manco il tempo di tirarmi su i calzoni, sbirro…di che cazzo di resistenza parli? – Senese gli tira un’altra ginocchiata in un fianco e poi due lievi testate, in rapida sequenza, dietro la nuca. Non fanno male ma danno fastidio, snervano il fermato perché essendo ammanettato non può strofinarsi il punto dolente per sciogliere il dolore e questo lo manda fuori di testa. Vecchi metodi, Senese sogghigna:
- Meglio che stai zitto…o ti mando all’ospedale sul serio -
La Migliore alza le mani e li divide: - Oh! Qui nessuno manda all’ospedale nessuno. Sei nel mio commissariato, adesso ce ne occupiamo noi –
- Ti sbagli collega – la corregge bonariamente lui – L’indagine è nostra, siete tenuti a darci appoggio logistico e basta -
E’ deferente, ma solo per ora. Se il capo della polizia locale e quel suo coglione di ispettore si mettono a fare storie o si piazzano di traverso, l’UCS non esiterà a scalzarli come fa sempre. Sono un’unità speciale che indaga su crimini violenti: nella maggior parte dei casi per salvare le vittime il tempo è un elemento determinante, come ad esempio in quell’indagine, il rapimento di due minori. Morale della favola: non c’è spazio per le buone maniere.
- È quello che facciamo, commissario – risponde a muso duro la vicequestora – Ma dentro al mio commissariato comando io. Questo significa che il fermato lo scortiamo noi e decidiamo noi dove tenerlo in custodia –
Senese si ficca in bocca un sigarillo e si stringe nelle spalle, indifferente alle chiacchiere: - Una stanza vale l’altro, dottoressa Migliore. L’importante è che ci lasciate tempo e spazio per interrogarlo…come vogliamo noi –
L’ispettore Carbone è a bocca aperta, attratto dai sigari neri e sottili che fuma Senese, gli stessi che compra anche lui.
Cacchio – pensa – roba per noi duri, allora!
Alla fine di quel tira e molla, quando i due hanno finito di annusarsi il culo, la Migliore ordina a Carbone e due agenti di piazzare Hernan Tumbaco nella saletta sul retro. Zona insonorizzata, caso mai a Senese venisse voglia di dargli una ripassata. Il latino non mostra alcun timore o soggezione, anzi sorride: quello che possono fargli gli sbirri italiani è sollettico in confronto a quello che si fanno tra di loro le mara-gangs rivali nel suo paese o in una qualsiasi delle grandi metropoli europee. Lo fanno sedere ammanettato dietro un tavolo di acciaio laccato, logoro e pieno di tagli e scritte. Sia il tavolo che la sedia sono incollati al pavimento. Hernan non si muove, non ci prova neppure, non ha alcuna intenzione di fare scherzi.
Entra Senese e i due agenti di spalla a Carbone escono dalla stanza.
Restano in tre: i due sbirri e il latino. Senese gli fa capire che è meglio che comincia a cantare subito, altrimenti potrebbe trovarsi coinvolto in accuse gravi, roba con la quale magari non c’entra nulla – lo provoca, lo stuzzica – rapimento? - …poi lo minaccia: addirittura omicidio se i ragazzini li trovano morti! Lo zio Hernan non batte ciglio. Non cambia minimamente espressione. È un duro vero, Senese lo capisce subito.
Ma dopo qualche minuto, nel quale è rimasto completamente muto, comincia a parlare. Come se avesse deciso per bene cosa dire, dopo una lunga meditazione invece che dopo un rapido soppesare dii cosa gli conviene e cosa no. È evidente che è proprio così: lo zio Hernan, abituato a pensare rapidamente, ha selezionato nella sua testa le informazioni da dare agli sbirri e quelle che invece deve tenere per sé.

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