CHOLO E SCARLET
El Jèfe, come tutti i capi di una mara-gang che si rispetti, dipinge i suoi parenti come dei santi scesi in terra che solo le avversità e le ingiustizie della vita hanno trasformato in persone, forse un po' dure, ma dal cuore d’oro. E così, quando Antonio Senese lo inchioda sulla sedia, lo zio Hernan si trasforma di botto in una vittima delle ingiustizie sociali.
- Mia cognata Glory? Santa donna! Una moglie devota, un mamma che ama i suoi figli e si farebbe ammazzare per loro…Ma lo sa che coglioni ci vogliono oggi per crescere tre ragazzini? Più di quelli di un uomo, porca miseria! I soldi che ci brucia dietro a quei tre rompiballe dei figli…Santa donna! -
- E’ una bella donna? – chiede Senese, provocatorio.
Hernan non ci casca:
- Che vuoi dire, sbirro? Se sono qua, di sicuro già la conosci –
Senese gli sorride con cattiveria e annuisce. In realtà ancora non l’ha mai incontrata, ma ha letto la descrizione che ne fanno i Buonomo e visto qualche foto che Marco gli ha inviato. Glory è una gran gnoccona, la tipica latina povera e volgare che non ha avuto cura di se, pur essendo una bella donna, e la mancanza di denaro ed educazione le hanno impedito di trasformarsi in una dea di mogano come la loro Penelope. Glory è super-formosa, tette enormi, bocca enorme perfetta per prenderlo in gola fino alle palle, culone enorme che balla quando cammina, capelli crespi neri, sguardo fiero, provocatorio, di sfida. Non molto alta, un po' tozza, volgare nel complesso, ma inutile dire che Senese le darebbe più di un colpo.
- Dai Buonomo lavorava come domestica? – chiede al Jefe
- No, faceva la commercialista! – risponde ironico Hernan – Certo, puliva quella cazzo di casa enorme! Cosa vuoi che faccia una povera donna come lei? –
- Non lo so…magari arrotondare con qualche altro lavoretto, un extra che le hai dato da fare tu, hombre? –
Hernan scuote il capo: - Lascia stare Glory, lasciala fuori da questa storia. Lei mi ha solo presentato la signora, con tutto il resto non c’entra! – Senese vede uno spiraglio, una crepa e ci si infila:
- Con tutto il resto cosa? Parli della roba che spacciavi ai Buonomo e ai loro amici ricconi…o del rapimento del figlio? –
Hernan scatta in avanti, si contorce e sbuffa come un toro, gli occhi iniettati di sangue, lo sguardo cattivo tenuto basso, ma naturalmente le manette e la sedia inchiodata al pavimento gli consentono solo quella piccola sceneggiata, nulla di più. Senese non ne rimane particolarmente impressionato: - Allora? -
- Io col rapimento del ragazzino non c’entro nulla, sbirro! -
E’ evidente che ci sono cose che non vuol dire (o non può), Senese lo capisce subito che non gliele tirerà fuori pestandolo in quello schifo di sgabuzzino nel commissariato di Ischia.
Decide di prendersi il meglio che può da quel criminale. Hernan è un salvadoregno ingrassato e reso tozzo dagli anni e la vita piena di eccessi, improvvisamente interrotta a causa del fatto che lui e la sua famiglia sono caduti in disgrazia. Non è stato un grande capo né un leader nelle maras di cui ha fatto parte, era semplicemente un medio soldato, uno spezzapollici, forse un assassino su commissione ma questo è tutto da dimostrare e – sinceramente, pensa il commissario – va ben oltre ciò che gli serve in quel momento. In realtà della vita di Hernan Tumbaco se ne frega, fino a un certo punto. Gli interessa molto di più la sua relazione coi Buonomo, con la signora Letizia soprattutto…
Perché? Perché è quello che gli ha detto di cercare Sir James, è lì che deve scavare come un bravo segugio, senza fare domande. E’ così che funziona nell’UCS, le intuizioni del vecchio inglese non si discutono, si assecondano e basta. Ognuno ha il suo ruolo. A Senese tocca il campo di battaglia, da sempre.
- Forse tuo fratello Antonio c’entra qualcosa con questa storia? –
El Jefe scoppia a ridere: - Mio fratello? Ha fatto a botte il meno possibile da quando era ragazzo, solo per entrare nella banda, niente di più. Ha paura anche della sua ombra…è un burro, un ciuccio di fatica come dite voi, qui al sud. Fa il muratore, porta i soldi a casa, finito. Amen.-
- Hanno tanti figli… – lo provoca Senese – Servono tanti soldi! –
- A chi non servono i soldi, sbirro? –
- Si interessano di politica i tuoi parenti? Qualcosa a che fare col lavoro dell’onorevole? – Hernan scuote il capo, scocciato. I Tumbaco non sanno neppure cosa sia la politica italiana. Senese cambia bersaglio.
- Il tuo nipotino, Cholo, invece spaccia roba in casa della signora bianca, non è così? A lei e ai suoi amici…roba che gli dai tu, Jefe! –
Hernan si stringe nelle spalle, c’è passato mille volte, tutto da dimostrare. Gli sbirri in quel momento non hanno un cazzo in mano, se non prove indiziarie, probabilmente voci venute dalla famiglia o dall’entourage dei Buonomo. Qualcuno ha fatto la spia, qualcuno – spaventato dalla polizia - ha confessato che quei negracci brutti sporchi e cattivi dei parenti della colf della signora Letizia…si, bèh…qualche volta hanno venduto loro coca…non che loro, gente perbene, fossero dei cocainomani, ma…sai come va? Una festa, qualche drink, voglia di divertirsi…A Hernan tutte quelle stronzate non interessano e probabilmente neppure a quel trippone di sbirro col fiato puzzolente che ha di fronte. La polizia sta cercando il ragazzino, non è a caccia di spacciatori latinos, quindi…non deve fare altro che tenere la bocca chiusa e aspettare che l’ultimo fesso di avvocato d’ufficio lo tiri fuori.
Sempre che qualcuno dei suoi non lo tradisca, però. Se trovano la roba in casa di Glory e Antonio, bèh…in quel caso la musica cambia.
E’ quello che sta avvenendo proprio in quel momento.
Non esiste più il rispetto, quando non esiste più una gang. E così vieni fottuto dall’unica persona che invece dovrebbe esserti fedele, l’unico fesso al quale hai fatto vedere un po' di soldi in attesa di tempi migliori.
Ma il suo nipotino, Cholo, una mara-gang non l’ha mai vista dall’interno, non c’ha mai fatto parte, non ne teme i riti d’iniziazione né le punizioni per chi tradisce, è troppo giovane per capire e fare la cosa giusta. Così, quando gli dicono che a vent’anni la sua vita può finire nel cesso di uno schifosissimo penitenziario italiano, se non parla, il figlio dei Tumbaco non ci pensa neppure un minuto.
L’ispettore Ciro Carbone è in una stanzetta attigua a quella dove Senese sta interrogando lo zio Hernan. Il collega, dopo avergli dato precise direttive su quali domande fargli, gli ha permesso di interrogare il pesce piccolo. Sanno che Cholo, il figlio di Glory che vive del mito del Jefe e dei soldi che gli fa guadagnare lo zio con quel piccolo giro di spaccio, se minacciato in modo convincente, può raccontare loro tutto quello che ha fatto. Ma Senese non crede che il giro di coca. messo su da quelle due mezze seghe di spacciatori latinos tra i Buonomo e i loro amici, c’entri qualcosa col rapimento del piccolo Ciccio, ed è convinto che tutto quello che avevano da dirgli – o che possono dirgli senza fottersi i loro piccoli traffici – glie l’abbia già detto lo zio Hernan. Non si sa mai.
Il figlio di Glory ha gli occhi sgranati e ribollenti di rabbia. Basso, tozzo, muscoloso, ore e ore in palestra evidentemente ma ancora senza un vero lavoro. Cappello da baseball, una mappata di catene e catenenine d’oro al collo, cariche di simboli religiosi mischiati a figure tribali e medagliette dei morti. Porta jeans strappati a vita bassa con sopra una canottiera larga, bianca a righe rosse, Chicago Bulls o qualche altra squadra di basket americana…A Carbone il basket non piace, naturalmente. Lui segue ‘u pallon, eppure…adesso che la guarda con attenzione, quella divisa da guerriero latinos che lo fa sembrare così ridicolo, non avendo il figlio di Glory mai fatto parte di una mara-gang o anche solo di una pandilla di spezzapollici, gli ricorda qualcosa che gli ha detto Senese o che ha letto sui giornali…
Un massiccio mulatto, un latino vestito a quel modo, che s’aggirava sul molo del porto a Costa Paradiso, il paesino della costiera dove hanno rapito l’altra bambina…Possibile che quel muccusiello c’entri qualcosa?
Carbone si fa un appunto mentale, per quel che serve, visto che la testa gli scoppia di nuovo.
La sera prima non c’è andato leggero, ha bevuto e tirato un po'…
Torna a guardare Cholo, è ancora un ragazzino infondo, incensurato, mai avuto problemi con la polizia, un finto duro che tenta di recitare al meglio la parte del soldato tatuato e fedele che gli ha assegnato lo zio Hernan. Quasi trema quando chiede: - Che cazzo ho fatto di male? –
Carbone alza una mano e sospira: - Calma, qua le domande le faccio io
- E allora falle, sbirro…porca puttana! Non so perché sono qua, non so perché il tuo collega m’ha preso a botte…cazzo! –
- Sappiamo tutto, Cholo –
- Tutto…cosa? –
- Facciamo finta che non l’hai capito, te lo spiego lo stesso. Il figlio piccolo dei Buonomo è scomparso, Ciccio è su tutti i giornali, non dirmi che non lo sapevi perché comincio a prenderti a calci in culo anche io – lo minaccia Carbone, ma senza convinzione. Ne sarebbe davvero capace? Non crede, non ha la cattiveria e l’esperienza per non mostrarsi intimorito davanti a un giovane come quello, grosso e forte, nel pieno del vigore fisico. Certo, potrebbe pestarlo mentre è ammanettato e Carbone non ha neppure una morale così salda che glie lo impedisce, ma dopo? Questi latinos hanno sempre un mucchio di parenti pronti a vendicarsi. Di notte, nei posti bui. No, meglio lasciar perdere le botte e farlo parlare col vecchio metodo bastone/carota.
- L’ho saputo del ragazzino – conferma Cholo e Carbone tira un sospiro di sollievo, andandogli subito dietro.
- Ok, ora cominciamo a ragionare. Noi stiamo indigando sulla sua scomparsa, andiamo dietro al ragazzino e non abbiamo tempo per altro, mi capisci? – Cholo annuisce – Ora dipende da te. Se vuoi rispondere alle domande che ti faccio e raccontarmi che cazzo di rapporti avevi tu, tuo zio e tutta la tua dannatissima famiglia coi Buonomo, in modo tale che possiamo escludere che siete dentro questa storia anche voi… -
Cholo finalmente c’arriva: - Col rapimento non c’entriamo un cazzo! Nessuno di noi, lo giuro! – Carbone sorride e annuisce.
- Sarà meglio per te, ragazzo. Se finisci dentro per rapimento di minore, resti a marcire in galera a vita, bello mio. L’incriminazione per spaccio di sostanze è un’altra cosa, ci possiamo mettere d’accordo –
Carbone non ha alcun potere di fare una cosa del genere, ma il ragazzo latino non lo sa e abbocca come un saragone di fondale.
- Mio zio ha fatto parte di una banda, tutta gente del suo paese. Loro…hanno sempre venduto un po' di roba agli italiani ricchi –
- Risparmiami la storia del Jefe, sappiamo tutto quello che ha fatto compreso la fine di merda degli ultimi anni. M’interessa l’ultima cosa che hai detto. Chi vi ha fatto conoscere i Buonomo? –
- Mia madre ha lavorato da loro tanti anni, fa la domestica –
- Tua madre c’entra qualcosa? –
Cholo scoppia a ridere: - Sei pazzo? Mia madre è una santa! Ma sai come va? Uno di noi l’andava a prendere, una parola tira l’altra, i Buonomo ci affidavano piccole commissioni e così siamo entrati in confidenza… -
- Con la signora Letizia, soprattutto. Non è così? – Cholo annuisce.
– Vi ha chiesto lei della coca? – Cholo si stringe nelle spalle.
- Aveva saputo che mio zio forse…insomma che ce l’aveva –
- E lo zio Hernan ha affidato a voi, ai suoi bravi nipotini, a te e tua sorella, il servizio trasporto e consegna. Giusto? –
Cholo sorride e annuisce: - L’hai visto mio zio? Credi che uno come lui, pieno di tatuaggi e cicatrici fin sopra la punta del cazzo, possa entrare e uscire da una villa come quella dell’onorevole senza che nessuno lo noti? Se c’andava lo zio Hernan, dopo una settimana i Buonomo erano su tutti i giornali…altro che rapimento del figlio! –
L’ispettore annuisce, quello che dice il ragazzo non fa una piega. Ma Carbone è un maiale, un mezzo pervertito e decide di chiedere anche un paio di cose che con quel casino non c’entrano niente: - La signora Letizia è una gran bella donna. Le portavate solo la coca, oppure… -
Cholo avvampa, il viso gli si arrossisce fino quasi a prendere fuoco.
- Te l’hai scopata, ragazzino? Dimmi la verità…è capitato quando la moglie annoiata dell’onorevole era un po' su di giri? –
Cholo distoglie lo sguardo, ma un sorrisino furbo e orgoglioso gli riempie la bocca carnosa. Alla fine sbuffa: - E’ capitato un paio di volte!
La dottoressa Penelope Arce esce dal commissariato di polizia di Ischia insieme alla vicequestora Angela Migliore. Salgono su un auto senza insegne e si immettono sulla litoranea che costeggia il mare lungo tutto il lato nord dell’isola. Superano la marina di Casamicciola, il porticciuolo di Lacco Ameno e arrivano a Forio. Il Torrione, l’antico bastione che i paesani hanno eretto secoli prima per difendersi dalle invasioni saracene, domina e sovrasta il profilo del paesino, come sempre. E’ un posto che Penelope conosce ormai alla perfezione, avendoci passato molti mesi anni prima, lavorando a due delle indagini più complesse della sua carriera e risolvendo, in quel piccolo microcosmo, due casi efferati. Parcheggiano l’auto nel piazzale Marinai d’Italia e salgono per un vicoletto laterale, fino a raggiungere il centro storico. Girano intorno alla fontana pubblica e si trovano davanti lo storico Bar Maria, salotto all’aperta per generazioni di intellettuali che dagli anni ’50 ai ’70 hanno scelto Forio come loro buon ritiro, prima che si trasformasse in una delle innumerevoli banalissime mete turistiche del sud-Italia. Di fianco al bar si snoda un altro vicoletto, come un serpentello. Penelope e la collega ci si infilano e, dopo neppure cento metri, si trovano davanti al vecchio palazzaccio, di proprietà della famiglia Amaya, nel quale abitano adesso i Tumbaco.
Bussano al citofono:
- Polizia, signora Tumbaco. Siamo venuti a parlare con sua figlia –
Glory se lo aspetta, non batte ciglio e le fa accomodare.
- Prego, Scarlet è in camera sua -
L’ex domestica dell’onorevole le aspetta sulla porta al primo piano: è una gran bella donna, non c’è dubbio. Non molto alta, formosa, pantalone attillato e maglietta scollata a mettere in mostra il seno prosperoso. Porta i capelli neri e ondulati, sciolti sulle spalle. La donna sa che le due inquirenti hanno usato il giusto tatto, evitando di dirle che sono lì per interrogare anche lei, ma che già sanno tutto ciò che la riguarda. Tutto di lei, di suo marito e della sua famiglia.
Eppure è Scarlet al centro del loro interesse, in quel momento. Glory non ha bisogno di chiedere il perché, lo sa benissimo. Bussano alla porta della stanza ed entrano. Penelope si aspetta di trovare la classica stanza di una adolescente e non resta delusa: poster di cantanti e attori alle pareti, una scrivania dove si mischiano alla rinfusa libri di scuola e trucchi, penne, matite e mascara. Gli abiti del giorno prima ancora buttati su una sedia in attesa che la mamma faccia l’ennesima lavatrice.
Scarlet è sdraiata sul letto, sembra una gatta. Voluttuosa, sexy. Il fisico snello, il culetto sodo, duro come il marmo. Ha il visino malizioso, gli occhi truccati in modo leggero, non volgare, sono quasi a mandorla, come quelli di un’india. Porta i capelli lunghi e lisci, le ricadono fin sopra al seno strizzato nel push-up. E’ una ragazzina ma è già ben cosciente di quanto la sua bellezza possa attirare l’attenzione.
- Scarlet, sono la dottoressa Penelope Arce dell’Unità per i Crimini Seriali della polizia di stato…-
La ragazzina si volta sul letto, indolente, e finalmente la guarda negli occhi: - So chi è lei, i miei genitori mi hanno già fatto una testa così, ma io non so un ca…non so niente del rapimento di Ciccio –
- Hai capito che lavoro faccio? – insiste Penelope.
- Crimini…seriali? – realizza finalmente la ragazzina. La criminologa annuisce e Scarlet rabbrividisce: - Hanno rapito altri di ragazzini? –
Penelope non ha intenzione di far fare a lei le domande e taglia corto:
- Se ci dici qualunque cosa sai suoi Buonomo, su Ciccio e su tutti gli altri componenti della famiglia…ci saresti davvero di grande aiuto –
- Non so niente! –
- Questo non è vero ragazzina – s’intromette per la prima volta la vicequestora Angela Migliore. Lei e Penelope hanno concordato la solita recita poliziotto buono/poliziotto cattivo.
- Sai che quel disgraziato di tuo zio Hernan è un maledetto spacciatore per conto dei suoi amici latinos o quello che ne rimane? –
- Non mi interessano gli amici di mio zio – risponde spudorata Scarlet spingendo in fuori il seno prorompente, ma davanti ha due donne-poliziotto con due paia di coglioni enormi e il giochetto non funziona.
- Ti interessano eccome invece…tanto che, siccome quel buzzurro in casa dei Buonomo non poteva metterci piede, spesso e volentieri la roba alla signora Letizia gliela portavate tu e tuo fratello Cholo, non è così? –
La ragazzina allarga la bocca ma naturalmente non le viene niente da rispondere. Impallidisce, per la prima volta sbanda. Non sapendo che suo zio e suo fratello sono già sotto chiave, non poteva immaginare che i poliziotti fossero già a quel punto.
- Parlami di quello che hai visto, delle persone che frequentano la casa dei Buonomo, di quelli che…diciamo così…dividevano la spesa con la signora, della merda che gli vendeva tuo zio? –
Scarlet adesso deve ingoiare il magone per non scoppiare a piangere. Le sta crollando il mondo addosso in cinque minuti, mentre cinque minuti prima stava a rifarsi lo smalto e pitturarsi le unghie. Come cazzo è possibile! – pensa la ragazzina - …Dios, cosa sta succedendo?
Alla fine decide di parlare, non ha altra scelta. Comincia con un gran sospirone da diva del cinema, sbattendo le ciglia e sgranando gli occhioni come un cerbiatto. Poi ammette:
- E’ vero, qualche volta lo zio Hernan ci ha chiesto di portar dentro qualche bustina per la signora Letizia… -
- Dentro intendi nella villa dei Buonomo? –
Scarlet annuisce: - Si ma io…non ho mai saputo che cazzo c’era dentro quelle bustine, lo giuro! Dovete credermi! –
- Vedremo – le sorride Penelope – Vai avanti –
- Bèh, degli amici dell’onorevole ho poco da dirvi. Non so chi diavolo sono. Tutti pezzi grossi, quello si vedeva…gente coi soldi, vestita bene, senza un lavoro da sudarsi, visto che passavano il pomeriggio insieme alla signora a…a cazzeggiare! –
- Nomi? – chiede la Migliore.
Scarlet scuote il capo: - Non conoscevo nessuno. Voi dovete capire una cosa – s’infiamma la ragazzina – Noi…noi Tumbaco con tutta questa storia non c’entriamo nulla! Parlo del rapimento di Ciccio –
- Tu in casa dei Buonomo c’andavi però? –
- Capirai! – borbotta la ragazza in tono strafottente - …mia madre faceva la sguattera da quei ricconi, gli puliva i cessi! Qualche volta mi è capitato di andare con lei per darle una mano e così…così ho conosciuti i figli, tutto qua –
- Ciccio è un bambino in confronto a te. Sappiamo che sei amica soprattutto di Roberta Buonomo, vero? –
Scarlet sbuffa: - Cosa vi ha detto quella deficiente? Già immagino! E’ una cretina, solo una bambolina viziata, convinta che il mondo gira intorno a lei…-
- Credevo foste…più che amiche? –
Scarlet pianta gli enormi occhi scuri in quelli di Penelope:
- La figlia dei Buonomo è lesbica, dottoressa…ed è convinta di essere innamorata di me, ma è una mocciosa, troppo piccola per essere sicura di…di tutto! –
- Siete andate a letto insieme? – Si aspetta che Scarlet arrossisca o quantomeno si volti dall’altra parte. Invece la ragazzina sostiene il suo sguardo con fierezza. Poi si stringe nelle spalle come a dire: mah…qualche volta…ha importanza?
- E tuo zio? Come ha agganciato la signora Letizia per cominciare a vendergli la droga? –
- Era droga? Questo lo dite voi! – ridacchia Scarlet, ma Penelope non ricambia il sorriso stavolta. La guarda dritto negli occhi:
- Non è un gioco, Scarlet. Potresti essere nei guai per colpa di tuo zio –
- Dios! – geme la ragazza – Sarà capitato un paio di volte! Non lo so come si conoscevano, non so che cavolo combinavano. Un paio di volte lui…mi ha chiesto il favore di consegnare quei minuscoli pacchettini alla signora. Mi ha ordinato di non fare domande e mi ha detto che anche mio fratello lo faceva -
- E tu? Conoscendo lo zio Hernan non hai immaginato che potesse essere qualcosa di poco pulito? Sei minorenne, porca miseria! – righia la Migliore. Scarlet rimpicciolisce sul lettino, mentre le lacrime cadono goccia a goccia e bagnano il lenzuolo.
- Si, è vero…mio zio ha fatto tante cazzate nella vita, erano altri tempi…erano gli anni in cui tutti i latinos per dimostrare di saper vivere dovevano menare le mani, spacciare droga e far parte di una di quelle loro stupide bande! –
- Le mara-gangs, le conosciamo bene –
Scarlet scoppia a ridere, mentre ha ancora il viso bagnato di lacrime:
- Roba da uomini primitivi! Lo zio Hernan non è un santo, anzi nella vita è stato un mezzo fallito, ma anche lui ha chiuso con quella roba…non fa parte di nessuna banda. I latinos non c’entrano niente! –
- Non c’entrano niente?! – s’incazza la vicequestora – Tuo zio è uno spacciatore di droghe pesanti, signorina! Chi credi che glie la dia la roba da vendere? –
Scarlet tentenna un attimo di troppo e le due inquirenti comprendono che sa più di quanto sta dicendo: - Se non viene dalla vostra gente, da chi la prende la roba tuo zio? E’ il momento di parlare, Scarlet! – dice Penelope usando per la prima volta un tono duro, perentorio.
La secondogenita dei Tumbaco alza lo sguardo sulla dottoressa:
- Ci sono…dei cinesi – dice.
- Cinesi? – chiede Penelope.
Scarlet annuisce e poi abbassa di nuovo lo sguardo.
SHANTY
I Buonomo, dopo quella giornata da incubo, sono di nuovo a casa. La famiglia dell’onorevole s’è rintanata di nuovo nella villa. L’onorevole è fuorioso per come si sono messe le cose: non solo gli hanno rapito il figlio piccolo, cosa per la quale è travolto dall’angoscia nonostante i giornali dell’opposizione si siano affrettati a speculare sul suo reale dolore insinuando dubbi - anche se non espliciti -sul fatto che potrebbe essere coinvolto nel rapimento o quantomeno conoscere i rapitori. Ma, come se non bastasse, ha fatto pure la figura del padre insensibile, dello sciacallo politico, del bastardo infame profittatore che, per atteggiarsi a sceriffo e raggranellare qualche voto alle prossime elezioni, non si ferma neppure davanti alla propria tragedia familiare.
E di chi è la colpa di tutto ciò?
Di quella testa di cazzo del suo avvocato!
Christian Pallante, invece di dirgli che è stata rapita un’altra ragazzina al suo paese natale, il giorno prima di Ciccio, lo ha mandato a petto in fuori davanti ai giornalisti…urlando stronzate e accusando non meglio identificati negri, latinos, sudamericani e tutto un gran mare di merda, solo per dar retta a voci di corridoio, sentito-dire senza alcuna conferma. Insomma c’ha fatto una figura da quattro soldi e adesso ce l’ha col mondo intero, non solo col suo avvocato, quando invece – magari – dovrebbe avercela solamente con se stesso.
E’ questo lo stato d’animo di Franco Buonomo, quando squilla il citofono. Uno dei ragazzi della sua scorta balbetta in imbarazzo:
- Dottò, non lo so forse è importante… -
Di che cazzo parla? Cos’è successo ancora? Buonomo esce sotto il portico, incurante dei flash dei pochi fotografi rimasti a piantonare la sua villetta nella ricca e residenziale periferia romana. L’uomo della scorta lascia il cancello ad un collega e s’avvia verso l’onorevole.
Sventola un pezzaccio di carta colorato, bello grande, come un mezzo poster, logoro e stracciato. L’onorevole è sveglio, abituato a pensare veloce: ha saputo delle cartine, delle dannatissime mappe che ha lasciato il rapitore, sia sul luogo della scomparsa di quella ragazzina, sia dove…dove hanno ritrovato il pezzo d’orecchio…Speriamo non sia di Ciccio! Speriamo non ci sia niente di mio figlio, in quello schifo di cartaccia…neppure un capello! pensa l’onorevole e gli esce un gemito.
Si mette un dito davanti alla bocca e con l’altra mano fa un segnale rabbioso all’agente: - Togli di mezzo quella roba! Vieni qua, entra in casa, non farlo vedere alle telecamere…che roba è? Che c’è dentro? –
Dopo mezz’ora squilla il telefono del commissario Ranieri, presso la sede dell’Unità per i Crimini Seriali.
- Commissario, buonasera. Sono Pallante, l’avvocato della famiglia Buonomo. Ci siamo visti stamattina, si ricorda? –
- Mi dica avvocato –
- Si, è successa una cosa…ehm…strana, ma di sicuro interesse per voi che state indagando. Uno degli agenti di scorta all’onorevole ha rinvenuto in un cespuglio fuori alla villa…una cartina fisica, una mappa di quelle che usano gli studenti a scuola –
Marco Ranieri sospira, nessuna novità, se l’aspettava. Mette l’avvocato Pallante in vivavoce, in modo che lo possa ascoltare anche sir James Winterbourn. Il vecchio criminologo inglese, loro consulente per le indagini, annuisce: - Dove esattamente è stata trovata questa cartina? –
Pallante s’innervosisce subito: - Dottor Ranieri, non cominciamo con l’interrogatorio! Glie l’ho detto, la villa dell’onorevole è tutta circondata da piante e cespugli, davanti e dietro il muro di cinta per impedire la vista dall’esterno ai cuoriosi…o a sti scassacazzo di giornalisti! –
- Va bene, avvocato, ho capito -
- Se viene qua, glie lo faccio vedere il cespuglio dov’era buttata ‘sta carta
- Che mappa è? – chiede sir James.
- Come? In che senso? – chiede confuso Pallante.
- Di che posto? – l’aiuta il criminologo.
- Ah…qui dice… - sentono frusciare, l’avvocato ha la mappa davanti
- Avvocato, non la tocchi! O la tocchi il meno possibile, per favore – gli intima Ranieri.
- Ho messo i guanti, dottore – risponde acido Pallante.
- Non la tocchi lo stesso! Allora, che roba è? –
- Asia…la Cina, per la precisione. Cartina fisica della Cina –
Marco Ranieri e Sir James si guardano senza dire una parola. Poi il vecchio inglese chiede: - C’era…qualcosa dentro? –
- E’ macchiata di sangue, dottore…se ho capito cosa vuole chiedermi – risponde prontamente l’avvocato dell’onorevole. Non serve altro. E’ una catena, la conferma che mancava, quella definitiva, che quelle sparizioni…quei rapimenti di minori…sono tutti collegati uno all’altro. C’è da scoprire solo chi hanno preso, stavolta.
Non replico mai due azioni nello stesso modo e, nei limiti del possibile, cerco di non renderle neppure simili. Anche se questo è impossibile farlo del tutto. Esistono sempre elementi in comune nei rapimenti. Diciamo che, col tempo, ho imparato ad affinare così tanto il mio modus operandi, che adesso faccio trovare agli inquirenti solo quello che voglio io. Scoprono quel tanto che basta per fare i collegamenti e le deduzioni che voglio io: ad esempio che le scomparse sono collegate tra loro. Ma non do certo loro la possibilità di indagare su di me, su chi sono, da dove vengo e dove mi nascondo. Io non esisto, esistono solo i bambini.
Tutto il resto non conta, conta solo il motivo.
Perché lo faccio, solo questo.
Antonio Tumbaco, il marito di Glory, il padre di quel bestione mezzo scemo di Cholo, di quella puttanella di Scarlet e della piccola Shanty, è basso e tarchiato. Muscoloso, ma non troppo. Un po' di pancetta, pelle scura, maglietta bianca tirata sui bicipiti, baffetti neri e capelli crespi che iniziano a diventare sale e pepe sulle tempie. E’ un asino da soma, un operaio, un uomo di fatica, poco intelligente e abituato a non chiedere più nulla dei suoi diritti ma solo dei suoi doveri, appena gli mettono in tasca la busta paga, come un cane che smette di abbaiare appena gli tiri la bistecca. E’ già stanco dopo mezza giornata di lavoro, stanco e stressato, quando arriva fuori alla scuola elementare per prendere Shanty e riportarla a casa.
Glory l’ha telefonato e gli ha dato la bella notizia: lei non può muoversi, hanno in casa la polizia. Sono arrivate due tipe del commissariato di Ischia e stanno spremendo Scarlet come un limone! Cosa combinano loro a casa dell’onorevole, cosa combina quella testa di cazzo di Hernan con la roba, che rapporti hanno con la signora Letizia? …e coi figli? …e con gli amici dei figli dei Buonomo? Insomma tutto!
Glory gli ha detto che in quel gran casino rischiano di finirci dentro fino al collo, visto che sembra siano già due i ragazzini rapiti.
Due? aveva chiesto stupefatto Antonio Tumbaco.
Esatto, due! gli aveva confermato sua moglie. Adesso puoi andare a prendere nostra figlia a quella cazzo di scuola?
Ma certo! l’aveva tranquillizzata Antonio. Ci penso io a Shanty, tu calmati…stai tranquilla!
Glory diventava facilmente isterica…ma perché, poi? Che motivo avevano di essere preoccupati? Loro non c’entravano niente con quello che stava succedendo a quei ragazzi. O no?
Né lui né Glory sapevano ancora che Hernan e il loro primogenito erano stati fermati quella mattina e adesso erano in centrale. Con questi pensieri cupi che gli turbinano nel cervello, il capofamiglia si piazza a gambe larghe fuori al cancello della scuola, in attesa che suoni la campanella.
In quel momento entro in azione. Mi calo sul capo il cappuccio della felpa grigia, assolutamente anonima, inforco gli spessi occhiali da sole, e mi avvicino a Tumbaco. Lo affianco. Lui neppure mi nota, fin quando lentamente non mi voto a guardarlo io. Gli sorrido. Lui ricambia, perplesso, con un cenno del capo. Solo due genitori che aspettano i figli all’uscita di scuola. Niente di eccezionale, almeno fin quando non dico con voce piatta: - Ora tocca a Shanty, tocca tua figlia hombre –
Tumbaco si volta di scatto, ma io gli ho già premuto la pistola nel fianco e sto facendo no-no con la testa: non ci provare neppure, non ti conviene. Tumbaco sbianca di botto, allarga la bocca per dire qualcosa, ma non riesce neppure a balbettare. Non è un criminale, non sa che fare. Non è un guerriero da mara-gang come suo fratello Hernan, non è neppure un picchiatore…e ha il terrore delle armi da fuoco.
E’ sono un burrito, basso, tozzo e muscoloso.
- Ti do alcune notizie che non sai – gli sussurro – Siete finiti in un gran casino, molto più grande di voi e per colpa della poca merda che spaccia tuo fratello in casa e tra gli amici dell’onorevole. Tuo figlio Cholo insieme a Hernan è in galera, li hanno beccati stamattina…-
- In…in galera?! – riesce a chiedere con voce roca Antonio Tumbaco. Quello che gli esce è quasi un gemito: - No, impossibile! –
Io annuisco: - Sono dentro, fidati. Puoi chiamare il commissariato per avere conferma, ma io non lo farei. C’è gente sveglia che indaga sul rapimento di Ciccio Buonomo. Pezzi grossi della polizia, un’unità speciale. Ma di tuo fratello e dei suoi piccoli traffici in verità se ne fregano…capisci Antonio? Alla polizia non gliene frega un cazzo in questo momento se tuo figlio aiuta lo zio a vendere coca o si scopa la moglie dell’onorevole, mentre quella troia di tua figlia fa i pompini a mezza scuola, professori e bidelli compresi…intiende? –
Vedo le mani di Tumbaco serrarsi a pungo, la rabbia ribollire e cominciare a salire.
Anche il più mite dei cani, se lo prendi a calci per ore e ore, prima o poi ti morde:
- Tu…cosa vuoi da noi, pezzo di merda? –
Sorrido: - Calma. Io non sarei così offensivo, non essere troppo sicuro che in questa storia il cattivo sono io, ok? La bambina, te l’ho detto. Tua figlia Shanty, appena esce da quella scuola, viene con me –
- Scordatelo, hijo de puta! – ringhia Antonio, il leone che difende il suo cucciolo.
Scuoto la testa, non ha capito ancora, è un po' tardo, un po' lento. Quella che gli sto facendo non è una richiesta, non glie lo sto chiedendo per favore. E’ un ordine, una semplice comunicazione di servizio. Premo più forte la pistola nel suo fianco e gli spiego: - Ti dico come funziona. Io non ho niente da perdere, hai capito? Niente di niente. Tu invece tutto. Quando Shanty esce da lì, hai due scelte: o mi segui e allora andrà tutto bene, nessuno si farà male…o decidi di non consegnarmela, di opporti, di scappare o quello che ti pare. In quel caso l’hai condannata a morte. Io non sono un tipo che fa casino, che si mette a urlare o a fare gli inseguimenti sparando in aria in mezzo ai vicoli come nei film di Bruce Willis…mi capisci Antonio? –
Tumbaco annuisce e io sorrido: - Molto bene. Se non me la dai, io la uccido. La ammazzo qui davanti a tutti. Questa pistola…la alzo e le sparo. Così, molto semplice. Sono un ottimo tiratore, tua figlia muore sul colpo, di questo puoi stare certo. Poi mi giro e me ne vado, mentre scoppia il casino. Io odio il casino, hombre…
Tumbaco si affloscia, abbassa le spalle e annuisce a denti stretti:
- Se…se faccio come vuoi tu, dopo cosa succede? –
A quella domanda ci manca poco che perdo il controllo. Stringo i denti e mi avvicino ancora un po' al suo orecchio, mentre lui trema: - Lo sai bene cosa succede, brutto bastardo… - gli sussurro – Tua figlia smette di soffrire le pene dell’inferno, ecco cosa succede! –
Marco Ranieri chiama immediatamente sull’isola d’Ischia. Dice al commissario Senese del ritrovamento della cartina della Cina fuori alla villa dell’onorevole Buonomo. Discutono per meno di cinque minuti, non serve più tempo per tirare le somme: se lo schema è lo stesso degli altri due, allora il rapitore sta realizzando una catena…
Una catena umana, fatta di bambini.
Dove l’annuncio del prossimo obiettivo, comunica ufficialmente che è avvenuto il rapimento precedente. Quando è stata rapita Bea Costanzo, il figlio di puttana ha lasciato una mappa dell’isola d’Ischia. Poi sul Monte Cretaio, insieme alla falange di un piccolo dito mignolo, una cartina del quartiere romano dove vive la famiglia dell’onorevole.
Due soli anelli finora. Adesso se n’è aggiunto un terzo: i Tumbaco.
Sono loro ad essere sotto tiro, la famiglia di Glory, l’ex domestica dei Buonomo, i latinos sui quali si addensano i maggiori sospetti, visto che in un video precedente al rapimento di Bea Costanzo, si vede un uomo latinoamericano aggirarsi sul posto e seguire la ragazzina. La famiglia di Tìo Hernan, lo zio che faceva parte della gloriosa mara-gang di Bolivar Amaya, il re supremo dei criminali salvadoregni presenti sette anni prima sull’isola d’Ischia. La famiglia di Cholo e Scarlet, i figli di Glory, poco seguiti dai genitori, superficiali, annoiati e convinti di essere onnipotenti come tutti i ragazzi della loro età…così onnipotenti da aiutare lo zio a spacciare nel circolo ristretto ed esclusivo dei ricconi che frequentano la signora Letizia, la moglie dell’onorevole. Quella famiglia, i Tumbaco, ha una figlia piccola. Una bimba deliziosa dalla pelle d’ebano, cioccolata al latte con treccine rasta e un sorriso che illumina il mondo. Senese non ha bisogno d’altro, comprende al volo: è Shanty il prossimo obiettivo. Afferra l’ispettore Carbone per un braccio e si fionda fuori dal commissariato, lasciando Hernan e Cholo in custodia agli agenti della vicequestora Migliore. Chiede al collega se è armato.
Carbone sorride e annuisce: sempre!
Balzano in auto e sgommano fuori dal centro storico. Si fanno la litoranea e, appena arrivati sul porto di Forio, accendono la sirena e i lampeggianti. Prendono a sinistra e salgono per via Cava delle Pezze, verso l’istituto scolastico elementare di Forio, dal quale la bambina sta per uscire. Ore 13.25…suona la campanella!
L’auto della polizia sgomma davanti al cancello della scuola con un stridore di freni. I due poliziotti balzano a terra, armi in pugno, mentre i genitori, le maestre, i bidelli e alcuni ragazzini che già ciondolano fuori ai cancelli in attesa di fratellini e sorelline, urlano e scappano da tutte le parti. – Allontanarsi! Signori, via dal cancello! – urla l’ispettore Carbone, sventolando la mano sinistra mentre con la destra stringe il revolver.
Senese entra nel cortile della scuola, mentre il preside gli si sta già facendo incontro. Il commissario gli da il nominativo: Shanty Tumbaco, quale piano? Quale classe? Il preside scuote il capo, terrorizzato. Niente da fare, troppo tardi: quella classe è già uscita mezz’ora prima.
Tengo la pistola premuta nel fianco di Tumbaco per tutto il tempo, mentre ci avviamo a passo svelto verso il vicino quartiere di Monterone, poche centinaia di metri a nord della scuola dalla quale abbiamo prelevato Shanty. Antonio è stato bravo: ha avuto solo un fremito quando ha visto la sua bimba venirci incontro, dopo aver salutato i compagni di scuola e la maestra con un bacino. Avrebbe voluto stringerla forte e scappare via, ma l’ho trattenuto forte sorridendogli e scuotendo il capo. Tumbaco ha preso sua figlia in braccio e mi ha seguito. L’ho spinto avanti e lui ha cominciato a trottare, da bravo asinello.
Ho tranquillizzato subito la bambina: sono della polizia, sono qui per proteggervi. Tu e il tuo papà adesso venite con me…perché c’è un uomo cattivo che rapisce i bambini fuori alla scuola e i miei colleghi dovranno arrestarlo. Shanty ovviamente s’è spaventata, ha sgranato gli occhioni scuri, ma è in braccio al suo papà – che annuisce, è tutto a posto – come può non fidarsi? La bimba si sente al sicuro.
Arriviamo nell’ampia piazza di Monterone, asfalto scrostato e grosse buche a terra.
Entriamo nell’unico bar, sul lato sinistro della piazza. Il bar è gremito a quell’ora: caffè, aperitivi, muratori sporchi di fatica, giovani coglioni nullafacenti ipnotizzati davanti alle macchinette mangiasoldi, professori che approfittano dell’ora di spacco per mangiarsi un panino. Nessuno fa caso a noi. Entriamo nei bagni. Controllo al volo, non c’è nessuno. Il tempo stringe: ordino a Tumbaco di darmi la bambina e di infilarsi nel primo bagno. Antonio tentenna per un attimo. Alzo la pistola e la punto dietro la schiena della bambina. Shanty non la vede neppure, con la testolina girata dall’altra parte, poggiata sul petto del padre. Tumbaco mi passa la bambina:
- Aspetta qui un attimo, mi reina…va bene? Aspetta con questo signore mentre papy va in bagno – Shanty borbotta qualcosa, gli occhioni stanno per riempirsi di lacrime, ma succede tutto molto rapidamente. Troppo rapidamente perché Tumbaco possa fare qualcosa. S’infila in bagno e io lo chiudo dentro a chiave. Poi premo immediatamente il panno umido sul nasino della bambina. Shanty si dibatte un pochino, gemendo ma neppure tanto. Si addormenta cloroformizzata in pochi secondi. Esco dal cesso con la bimba in braccio e faccio finta di parlarle dolcemente all’orecchio. Il barista non si volta neppure a guardarci. La gente nel bar è sempre tanta, una piccola folla. M’infilo in mezzo a quella puzza di sudore, arachidi e olio di patatine, fino ad uscire finalmente da quel cesso di locale. Mi guardo solo un attimo a destra e sinistra. Non c’è traccia di sbirri, così mi allontano. A passo svelto, ma non troppo. Senza dare nell’occhio. Raggiungo il furgone nero parcheggiato in un vicoletto laterale che costeggia la grande chiesa bianca del quartiere. Poggio delicatamente Shanty sul sedile posteriore, mettendogli lo zainetto sotto la testa come un cuscino. Una signora anziana con le borse della spesa ci passa di fianco, sorride e annuisce: - Eh! Sono così stanchi dopo la scuola…stanchi morti! –
Ricambio il sorriso, poi salto al posto di guida, metto in moto e vado via.
Fine della storia.
Antonio Tumbaco fa passare un minuto prima di mettersi a urlare e tirare calci contro la porta del cesso. Un minuto intero del quale non si perdonerà finchè campa, un minuto che spera con tutta l’anima non sia quello che condannerà a morte sua figlia. Poi impazzisce di rabbia e di terrore e strilla a squarciagola, prende a pugni la porta, comincia a tirarci contro spallate poderose, come un toro che tanta di sfondare le staccionate del recinto a cornate. L’ha quasi sfondata quando finalmente lo sentono dall’esterno, dalla sala del bar dove stanno ancora servendo caffè, campari e aperol-soda. Il padrone del bar, grasso e unto, con uno straccio schifoso poggiato sulla spalla entra in bagno bestemmiando: - Che cazzo succede qua dentro?! –
Vede la porta del primo cesso tremare sotto i colpi poderosi del latino chiuso all’interno. Il legno vecchio e corroso sta per spaccarsi, quando il grassone che gestisce il bar finalmente gira la chiave e libera Antonio.
Il volto che si trova davanti è una maschera di pazzia. Tumbaco è stravolto dalla rabbia e dal dolore, gli occhi che schizzano fuori dalle orbite, la maglietta bianca zuppa di sudore e i capelli crespi dritti in testa, sparati da ogni parte per colpa dell’energia elettrica e dell’adrenalina accumulata: - Mia figlia! – urla – …LA MIA BAMBINA!!! – Il barista non capisce una parola, non ha idea di cosa cazzo stia parlando quel negro schizzato fuori dal cesso del suo locale.
E’ grosso, il barista, un bestione. Non ci pensa un attimo e sbatte Tumbaco contro il muro, mettendogli un avambraccio alla gola per immobilizzarlo. Antonio è disperato e la disperazione moltiplica le forze e la lucidità, lo sanno anche i sassi. Tira una ginocchiata nei coglioni del bestione, che immediatamente si piega in due senza fiato. Poi gli tira un cazzotto sulla schiena e il barista stramazza a terra semisvenuto.
- La mia bambina!!! Dov’è mia figlia? Dove…dov’è andato?!?! – urla Tumbaco mentre spalanca la porta ed esce all’esterno nella sala del bar, gremita di gente. Il pubblico all’inizio non lo nota neppure. Le urla del papà di Shanty si confondono con le altre all’interno e all’esterno del locale.
- LA MIA BAMBINAAA!!! – ruggisce Tumbaco schizzando saliva e lacrime tutt’intorno. A questo punto tutti si voltano. Qualcuno gli si fa incontro per calmarlo. Un paio di giovanotti muscolosi ma mezzi ubriachi abbandonano le macchinette mangiasoldi, esaltati dalla prospettiva di fare a pugni col negro. Due tizi l’afferrano, lo bloccano. Qualcuno gli ordina di calmarsi e di spiegare di cosa cazzo sta parlando:
- Non l’avete visto? Il tipo che era con me! Quello col giubbotto verde scuro…quello con…gli occhiali da sole? - Antonio improvvisamente s’accorge di non essere neppure sicuro di come cazzo fosse vestito quel figlio di puttana. Era così anonimo, così banale e ordinario che…porca miseria, diosanto…già non ricorda più com’era fatto! Tenta di spiegarsi, balbetta, racconta la sua assurda storia: un uomo, un perfetto sconosciuto, s’è presentato fuori alla scuola di sua figlia e gli ha puntato una pistola…Poi li ha portati in quel fottutissimo bar e ha…s’è preso la bambina! HA RAPITO MIA FIGLIA!!!
La gente intorno si guarda perplessa, scuotendo il capo: di quale cazzo di uomo parla? Di quale bambina? Hai visto una bambina, tu? Io no…e tu? Hai visto un tizio col giubbotto verde? Io non ho visto manco il cazzo…e sto ancora aspettando il mio Rum&Coca, dove cazzo sta il barista? Seee…beato te che cerchi il barista! Questo ha perso la figlia…e io ho perso la prima cinquanta vicino a ‘ste macchinette di merda! Tumbaco si scuote, mulinando la braccia tozze e muscolose per liberarsi dalla stretta di quei deficienti rincoglioniti clienti del bar. Strattona un po' di gente, si spintona con qualche giovanotto, qualcuno lo manda affanculo, gli chiede se per caso è già ubriaco a quell’ora?
Alla fine Antonio riesce a uscire all’esterno, nella grande piazza assolata del quartiere di Monterone. Giusto in tempo per trovarsi di nuovo una pistola puntata contro: - Fermo Tumbaco, polizia! –
L’ ispettore Carbone gli punta l’arma dritta in faccia, mentre il commissario Senese gli va incontro con le mani alzate:
- Stai calmo Antonio, calmo…dimmi solo che cazzo è successo, va bene? –
Tumbaco, che come al solito viaggia un po' a rallentatore con la mente, capisce definitivamente solo in quel momento di essere stato fregato. Non che fosse così idiota da sperare che il rapitore di sua figlia fosse una brava persona, un tipo dal cuore d’oro che cambia idea davanti alle sue preghiere e implorazioni, questo no. Ma almeno credeva che i buoni…i dannatissimi buoni…ovvero gli sbirri, fossero arrivati in suo soccorso come la cavalleria del cazzo nei film western contro gli indiani!
E invece no: quei due tripponi che aveva di fronte probabilmente sono stati richiamti nel bar dal trambusto che ha creato il rapitore. Forse li ha addirittura chiamati lui: c’è un tizio che fa casino nel retrobottega a Monterone! E’ fuori di testa, dice che gli hanno rapito la figlia!
…ed eccoci qua: di nuovo una pistola puntata in faccia, lo sbirro pezzo grosso che adesso lo metterà seduto, da bravo coglione, e pretenderà che Antonio risponda a tutte le sue domande del cazzo. Mentre Shanty vola via, scompare tra le braccia di quello sconosciuto. Forse per sempre…No! Antonio si rifiuta di accettarlo! Mia moglie m’ammazza se non le riporto a casa nostra figlia, pensa lasciandosi sfuggire un rantolo di sofferenza e frustrazione. Poi, d’improvviso scatta in piedi, da una spallata al Commissario Senese e lo spinge di lato. Resta per un paio di secondi faccia a faccia con l’ispettore Carbone che gli punta ancora l’arma addosso: - Non farlo, Tumbaco! Non ti conviene… -
Ma sono chiacchiere. Antonio, anche se è un bonaccione, lo sa bene. Si vede anche nei film. Lo sbirro non gli sparerà mai. Non è lui il cattivo, porca puttana! Tumbaco gira rapidamente intorno alla canna della pistola di Carbone e schizza via fuori dal bar, mentre tutt’intorno riprendono le urla e la ressa intorno ai poliziotti. Tutti i clienti, rimasti col fiato sospeso, adesso che quel negro è scappato via, vogliono dire la loro…aiutare…consigliare la polizia! Naturalmente sonon convinti che quel maledetto mulatto abbia fatto di certo qualcosa di sporco! Cosa? Boh, chi lo sa! Qualcosa, di sicuro…e poi siete voi la polizia, no? Muovete il culo e scopritelo!
Senese e Carbone escono dal bar giusto in tempo per vedere Antonio Tumbaco svoltare in una stradina laterale, di fianco alla chiesa. E’ un viottolo mezzo sterrato, pieno di polvere e tombini lerci, dove di notte le puttane vanno a farci i pompini ai clienti e i pusher a spacciare la loro merda. Non necessariamente in quest’ordine.
I due poliziotti attraversano il piazzale ansimando come mantici. Sono entrambe in sovrappeso, fanno una vita di merda, mangiano, bevono e Carbone fa anche qualcos’altro, ma in quei momenti lì, quando ti tocca correre, tu corri e basta, anche se sai che rischi di farti venire un colpo e morire stramazzato lì, sull’asfalto bucato della piazza di Monterone.
Appena entrano nel vicolo si fermano di botto: Antonio Tumbaco ha preso un ostaggio. E’ alle spalle di un tizio magro, emaciato, giubotto verde, cappellino da baseball e occhiali da sole, un tipo anonimo, totalmente insipido, uno che se ti passa di fianco un milione di volte manco te lo ricordi. I due sbirri si guardano per un secondo: possibile l’abbia già beccato? Potrebbe essere il rapitore dei bambini scomparsi?
Forse Tumbaco sa più di quanto credono…
- Antonio, non muoverti! – gli urla Senese.
In quel momento la loro prima preoccupazione è un’altra: Tumbaco ha rotto una bottiglia di Peroni e tiene il collo come un manico, mentre con l’orlo scheggiato sul lato opposto, minaccia di tagliare la gola a quel tizio. L’omino in ostaggio trema, ma non dice neppure una parola.
- E’ lui! E’ l’uomo che ha preso la mia bambina…Cristosanto, sbirri del cazzo che fate lì? Venite ad aiutarmi, arrestate quest’uomo! –
- Antonio, non credo che sia lui – prova a farlo ragionare il commissario, anche se neppure lui è così sicuro di niente.
- Venite a mettergli le manette…o lo ammazzo! –
Le urla cominciano ad attirare gente. Si forma una piccola folla all’imboccatura del vicolo. Tumbaco ha gli occhi spiritati, il sudore gli imperla la fronte e due grumetti di bava bianca gli si sono formati agli angoli delle labbra, bagnando i baffetti sottili sale e pepe che porta da sempre. – Antonio…hai già fatto troppo casino, stamattina. Adesso getta via quella bottiglia rotta, va bene? –
- Voi…DOVETE AIUTARMI!!! – urla Tumbaco disperato e scoppia in lacrime - …Ha rapito mia figlia, quante volte devo dirvelo, cazzo?! –
Senese fa due passi avanti, braccia larghe, mani alzate. Carbone ha estratto di nuovo la pistola e la punta su Antonio. La scena si ripete, sembra una replica, ma stavolta un uomo è in pericolo. Tumbaco sa che l’ispettore sparerà se lui fa una mossa. Il commissario Senese gli sta parlando: - Tu devi capire anche noi, Antonio…Abbiamo avuto solo una segnalazione dalla centrale che tua figlia potesse essere in perciolo e per questo siamo venuti a scuola, capisci? –
- Bravi, peccato che siete arrivati troppo tardi, cristo! – urla Tumbaco tra le lacrime.
- Purtroppo è così, ma…noi quest’uomo non l’abbiamo visto, non abbiamo visto niente, Antonio. Né tua figlia né lui, quindi…ci sei solo tu. Solo tu puoi aiutarci a capire cosa cazzo è successo, giusto? –
Tumbaco scuote il capo rabbiosamente: - Sbirri di merda! Tutti uguali, state solo perdendo tempo…perché siamo povera gente! –
- Questo non è vero, Antonio –
- Come no! Per il figlio dell’onorevole avete scomodato esperti ed unità speciali, me l’ha detto mia moglie…Invece per noi? Per la bambina di un povero immigrato che lavora come un mulo e paga le tasse come tutti? Manco il cazzo! Niente…nada! – e mentre urla l’ultima parola Tumbaco gonfia l’avmbraccio e affonda rabbiosamente il coccio di bottiglia nel collo dell’uomo. Nello stesso momento l’ispettore Carbone fa fuoco, alle spalle del collega Senese. Becca Tumbaco alla spalla destra. I due uomini feriti stramazzano a terra insieme. Il sangue sprizza a fiotti dalla carotide dell’uomo, che si tiene stretta la gola con entrambe le mani. Tumbaco è a terra, immobile. Anche sotto di lui si va allargando una piccola pozza di sangue.
- Due uomini a terra! – urla Senese nel telefonino – Ambulanza! Ambulanza subito, a Monterone! –
L’ispettore Carbone si avvicina ai due corpi che si contorcono dal dolore. Non serve un medico per fare la diagnosi: Tumbaco se la caverà con un bendaggio, il proiettile è entrate e uscito finendo nel muro della chiesa alle loro spalle. L’uomo con la gola squarciata è praticamente già morto. Carbone inghiotte bile e s’infila in bocca un sigarillo nero, di quelli che fumano lui e Senese. Almeno non l’ha accoppato lui quel tizio. Sarà Antonio Tumbaco a portarselo sulla coscienza.
Il capo dell’Unità per i Crimini Seriali decide che non si può più andare avanti così, scambiandosi le informazioni solo in videoconferenza e correndo dietro alle voci e alle dicerie nei piccoli paesini della costiera o sull’isola d’Ischia. Serve un briefing, una riunione operativa, di quelle toste, guidata da sir James e Marco, per fare il punto della situazione.
Ranieri chiama Senese:
- Dove siete tu e Penelope? –
- Adesso in centrale. La vicequestora ha appena dato l’ordine ai suoi ragazzi di controllare il porto, gli imbarchi ai traghetti, agli aliscafi, ai pescherecci…tutto insomma –
- Pensate che il rapitore possa portare la bambina fuori dall’isola? – Domanda retorica, Ranieri sa che non c’è alcuna certezza.
Senese sbuffa: - Non lo so, Marco…non so un cazzo, è solo un gran casino, stavolta. Diciamoci la verità –
- Perché non c’è il morto, Antò. Non siamo abituati…per ora –
Senese s’infila in bocca un sigaro: - Che facciamo? –
- Prima dimmi dei Tumbaco –
Senese si schiarisce la voce, scatarrando nel peggiore dei modi. Lo fa sempre, davanti a tutti, anche alle signore. Marco lo odia.
- C’è poco da dire, capo. I maschietti della famiglia sono finiti tutti in galera. Non so dirti quanto sia voluta la cosa -
- Credi che sia quello che voleva il rapitore? Si, l’ho pensato anche io – conferma Ranieri.
- Già…il figlio di puttana s’è mosso sempre bene, ci sa fare. Si capisce che è un professionista, ma con la piccola Tumbaco ha rischiato, rischiato di brutto…mentre con gli altri due è andato sul velluto! –
- Aspetta, i rapimenti di Bea Costanzo e Ciccio Buonomo sono avvenuti quando la polizia non era ancora in allerta – lo corregge Ranieri – C’è una bella differenza, ha avuto gioco facile. Mentre alla figlia dei Tumbaco ci siamo arrivati quasi insieme a lui, l’abbiamo quasi beccato…perché eravamo in allerta, capisci? –
Senese grugnisce e non gli da soddisfazione: - Non lo so, non è solo questo, Marco. Il rapitore s’è presentato fuori scuola, faccia a faccia col padre, l’ha minacciato, poi l’ha preso per il culo e alla fine l’ha chiuso nel cesso del bar! –
- Mmm…com’è finita? –
- Male! Come vuoi che sia finita? Tumbaco gli è corso dietro, appena l’hanno liberato. Noi eravamo appena arrivati e gli siamo andati appresso, naturalmente. Ma, guarda un po', il primo coglione che Tumbaco si trova davanti…in un vicoletto di merda a Monterone…chi è? Un tizio vestito esattamente come il rapitore! Stesso colore e stesso tipo di vestiti, stesso fisico asciutto… -
- Dici che l’ha messo l’ha il nostro amico? –
- Non lo sapremo mai, capo –
- E’ morto? – chiede incredulo Ranieri – Come? –
Senese sospira: - Tumbaco era fuori di testa. Gli ha tagliato la gola con un coccio di bottiglia, convinto che fosse l’uomo che s’era preso sua figlia –
- Cazzo… - impreca Ranieri - …credevo l’aveste messo dentro in via precauzionale, al massimo per resistenza –
- E invece passerà i guai, Marco. Omicidio di secondo grado, se gli va bene. Capisci adesso perché dico che quello di stamattina sembrava solo un gran casino, ma in realtà è un colpo di teatro? –
- Quell’uomo nel vicolo, quello che Tumbaco ha ucciso, se l’ha messo lì il rapitore per fregarci tutti, per depistarci, …dobbiamo scoprirlo -
- Magari l’ha pagato, ma…come si dice da noi: l’ultimo vestito è senza tasche! –
- Nel senso? – chiede Ranieri che è stanco e non ha voglia di ascoltare le antiche perle di saggezza del collega.
- Nel senso che è morto, Marco! E i soldi non se li può portare all’altro mondo –
- Ok, ma avrà una famiglia, no? Parenti, amici! Scopri chi cazzo è e cosa ci faceva in quel vicolo di merda a quell’ora e vestito esattamente come l’uomo che ha rapito la piccola Shanty! – ringhia il capo dell’UCS
- Già, è questo che continua a ripetermi anche Tumbaco –
- E allora muovi il culo, Antò! -
- Obbedisco! Come disse Garibaldi –
Senese capisce quando è tempo di farla finita, ma è Ranieri a non aver finito: - Ce la fate tu e Penelope a trovarvi a Costa Paradiso per stasera?
Senese sfumacchia: - A Costa, perché? –
- Devo fare il punto coi Costanzo, poi interrogare i Montella. Non vorrei che ci fossero loro dietro tutta questa storia, anche se non credo. Insomma mi serve un giorno giù in costiera, che ne dici ce la fate? –
Senese sbuffa, non ha più il fisico per quelle corse e poi Ischia gli piace molto di più: - Se mi spiccio presto con la famiglia dell’uomo ucciso, ti raccolgo un po' di informazioni e te le porto giù a Costa. Anche Penelope ha novità per te… -
Marco Ranieri deglutisce. Per un attimo ha il terrore assurdo che le novità della sua amante riguardino la loro relazione e che deve comunicargli che vuole mollarlo…vedi Marco, sai perché hai la sensazione che negli ultimi giorni ti sfuggo? Cerco di non vederti, di tirarla per le lunghe? Perché è proprio così, non mi va più…Che stronzate!
Ranieri scaccia quei pensieri idioti: - Che novità? –
- Armentano ha mandato i risultati delle analisi su tutte le prove organiche che abbiamo –
- Troppo lungo a telefono. Ci vediamo a Costa stasera, ok? –
- Ci saremo – risponde Senese – Ah, Marco…Sir James viene con te? –
- Certo, faremo il punto della situazione tutti insieme, come sempre! –
- Non vedo l’ora! – taglia corto con acida ironia il commissario e mette giù.

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