Prima puntata di "Senza paura" di Andrea Esposito

PROLOGO











Faccio scomparire bambini.
Lascio ritrovare oggetti che gli appartengono, indumenti, o addirittura pezzi dei loro corpi. In ogni caso indizi chiari del fatto che li ho rapiti.
Li tengo d’occhio per mesi, se ce n’è bisogno: ragazzini felici nelle loro famiglie perfette, madri dolci e amorevoli, padri severi ma comprensivi davanti a qualche marachella, fratelli affettuosi.
Gli inquirenti naturalmente indagano per primi i moventi classici nella scomparsa di minori: c’è un pedofilo? Uno di quei pervertiti che siamo ormai abituati a trovare sulle pagine dei giornali o nei talk-show in televisione? Oppure è un banale rapimento? La famiglia è ricca… magari arriverà una richiesta di danaro per il riscatto. O forse è una vendetta di qualcuno che la odia: il padre o la madre hanno scheletri nell’armadio?
Hanno compiuto atti illeciti? La polizia prende a scavare nei segreti di queste persone, setaccia i conti in banca, le proprietà immobiliari, gli investimenti. Arriva a spulciare le spese più piccole e insignificanti, magari alla ricerca di un regalino fatto ad un amante geloso che poi si è rivelato essere un folle psicopatico.
Ma la prima ipotesi che fanno gli inquirenti è sempre quella più rassicurante: fuga volontaria del ragazzino.
Magari è scappato, signora… non pianga, non si preoccupi!
Lo fanno in tanti al giorno d’oggi. Sì, ma perché? È questo il punto.
I ragazzi, i nostri figli, a volte nascondono segreti così indicibili che il solo pensiero ci fa tremare i polsi e piangere d’angoscia e di terrore. Così la polizia cerca istintivamente di rassicurare i genitori: vedrete, lo ritroveremo subito… il novanta per cento di quelli che scappano di casa, tornano da soli entro le prime 24 ore, massimo 48.
E così, proprio all’inzio - quando io invece agisco con la massima rapidità, cura e precisione - gli investigatori perdono tempo, tanto tempo.
Il più prezioso, quello nel quale potrebbero ancora ritrovare il bambino che cercano e strapparmelo dalle mani. Dopo è praticamente impossibile.
Non possono fermarmi, né catturarmi.
Perché io non esisto, semplicemente non ci sono.



ISOLA D’ISCHIA
MONTE CRETAIO
L’ispettore Carbone quella mattina sta di merda, tanto per cambiare. Non è per i problemi che affliggono la sua vita: una famiglia sfasciata, la moglie da cui ha divorziato che gli continua a ricordare ogni giorno i suoi dannati obblighi, gli alimenti, i soldi per quel coglione viziato di suo figlio, la meravigliosa villetta abusiva che s’era costruito a Campotese, in un delizioso boschetto in periferia, e che adesso si gode quella stronza maledetta! Mentre lui vive nel suo merdoso monolocale sulla spiaggia della Chiaia, centro di Forio, in mezzo al casino d’estate e all’umidità che viene dal mare d’inverno. No, non è per quello che Ciro sta male quella mattina, e non è neppure per quello che hanno trovato su al Cretaio. Il motivo è molto più immediato e banale: hangover, dicono gli inglesi… doposbornia, l’ennesima. Ha addosso tutti i postumi della sera prima: ha mangiato come un maiale in un ristorantino sul porto, ha bevuto come un alcolista del cazzo e ha passato la notte a tirare coca insieme alla sua puttana preferita.
Margherita è una brava ragazza, dolce e comprensiva: capita a volte, come quella sera, che a notte fonda Carbone sia così strafatto che non riesca a concludere. In verità non riesce neppure a tirarsi fuori l’uccello dalle mutande. Ma a Margherita basta che Ciro sia un poliziotto. Anzi che sia un poliziotto cattivo. Anzi che sia un poliziotto cattivo che, quando fa una retata e sequestra la roba a qualche pusher che conosce, ne tiene sempre un po' per sé. Uso personale, eh! Per carità… mica la spaccia! Ecco, questo le basta a Margherita.
E adesso lui è lassù, con un mal di testa lancinante, gli occhi lacrimosi trafitti dagli aghi della luce del giorno, davanti a quella piccola fossa scavata nel terreno del boschetto.
Il Cretaio è uno degli ultimi polmoni verdi dell’isola d’Ischia. Carbone alza lo sguardo e si sente pervadere da una sensazione inspiegabile di possenza, di forza della natura: quel verde, quegli odori, quei tronchi di alberi altissimi, castagni, pini e tutta la flora mediterranea che si può trovare sulle guide turistiche. C’è una bella aria pulita, quella mattina. Ma c’è troppo sole, troppa luce fuori dal boschetto. L’ispettore non lo sopporta e s’infila tra gli alberi. Per fortuna gli è passata la nausea, dopo svariati caffè, e almeno non rischia di vomitare sulla scena del crimine, come si dice tra sbirri. - Hai una pastiglia? – chiede alla sua superiora.
- Cosa? Di che cacchio parli? – risponde la vicequestora.
Carbone si fa passare da un agente una bottiglietta d’acqua minerale.
- Di che parlo? Anfetamina, magari… - borbotta e fa un sorriso sghembo, quasi un ghigno, mentre un’altra fitta gli trafigge le tempie.
- Un’aspirina… un Oki, un antidolorifico qualsiasi, capa! –
Angela Migliore lo fulmina con lo sguardo e tira fuori una bustina di nimesulide dalla borsa. L’ispettore l’agguanta, la strappa, rovescia la polvere nella bottiglietta piena d’acqua per metà, rimette il tappo e la sbatacchia come farebbe un barman con un cocktail. Poi la stappa e la beve in due sorsi. Si volta di nuovo verso l’agente in divisa: gli restituisce la bottiglietta vuota e si fa passare il terzo bicchierino di caffè da quando sono nel bosco del Cretaio.
La Migliore è un donnone grande e grosso, poco femminile ma sempre molto curata ed elegante: capelli castani permanentati, trucco pesante sugli occhi scuri, tailleur dai colori pastello perfettamente stirati sul suo culone enorme e giacchettine che stentano a contenere le sue poderose spalle da camionista. Fa due passetti nel terriccio, attenta a non spezzarsi i tacchi delle scarpe laccate di nero e scuote il capo schifata:
- Ciro, ti prego… il caffè ti fa un buco nello stomaco!
L’ispettore si stringe nelle spalle e inforca gli occhiali da sole impolverati: - Uno più, uno meno… Angela, vuoi dirmi che t’ha detto la Scientifica su ‘sto schifo che abbiamo trovato quassù? –
Lei si volta a guardare la fossa, ormai vuota. Non c’è più nulla da repertare lì dentro ma per scrupolo e regolamento viene tenuta ancora delimitata dal nastro giallo e piantonata da due agenti. La Polizia Scientifica s’è portata via tutto a tempo di record, una procedura assolutamente insolita visti i tempi abituali, lunghi e snervanti, che di solito attendono gli inquirenti per avere dei risultati in un’indagine d’omicidio. E adesso la Migliore sa il perché.
- Il pezzo d’orecchio… È confermato, la Scientifica ha comparato il DNA. È del figlio minore di Buonomo –
Carbone fa schioccare la lingua e s’infila in bocca uno dei suoi sigarilli neri e puzzolenti: - Il ragazzino scomparso? Il figlio dell’onorevole? Cacchio, questo paese non cambia mai! Se era il figlio di uno spazzino, c’avrebbero messo un secolo a identificarlo… –
La vicequestora sospira e s’allontana dalla fossa: - Ti prego Ciro, non cominciare. Oggi non è giornata! – taglia corto e poi si volta verso gli agenti di guardia. Dà loro istruzioni sugli orari dell’ultimo giorno di piantonamento. Quella sera stessa sbaraccheranno tutto, l’indagine si sposta sulla terraferma, probabilmente a Roma, presso la sede centrale dell’Unità per i Crimini Seriali, guidata dal collega commissario Marco Ranieri, il più noto e preparato profiler italiano, un gigante delle indagini comportamentali, allievo di Sir James Winterbourn, pari d’Inghilterra ed esperto criminologo di fama mondiale, che ha fatto da talent scout e forgiato tante reclute nel campo del profiling presso la sede dell’FBI a Quantico.
Carbone ascolta rispettosamente due passi indietro, fin quando la sua superiora non ha terminato di dare istruzioni. Poi l’affianca con la lingua di fuori, come un cagnone a cui non è stato dato l’osso:
- Quando parlavi della Scientifica… parlavi di Penelope Arce?
Lei annuisce: - Il caso è in mano all’UCS -
- Addirittura! E perché? –
La dott.ssa Arce è la capo-patologa dell’unità di Ranieri: essa si divide in indagini sul campo, affidate al commissario Antonio Senese, ed analisi scientifica di cui è responsabile la Arce. Una italoargentina molto sensuale con una pelle ambrata sulla quale scendono i lunghi capelli color rame, direbbe un uomo elegante. Carbone invece ricorda le due grosse tette e il culo sodo e duro come il marmo.
La Migliore, concentrata sulla discesa nel boschetto resa difficoltosa dalle scarpe col tacco, si ferma di botto e si volta a respirare in faccia all’ispettore: - Perché tocca a loro, Ciro… Perché è il figlio di un pezzo grosso, perché in Italia va così… Che cazzo vuoi che ti dica? –
Carbone scuote il capo, è un relitto umano quella mattina, ma non un coglione: - E poi? –
La sua superiora sospira e alza gli occhi al cielo: - L’altro ieri ne è scomparsa un’altra. È sparita una ragazzina da un paesino della Costiera Amalfitana… -
- Sempre uguale? Stesso modus operandi?
La Migliore annuisce: - Di lei… hanno ritrovato un dito, un pezzo, la prima falange del mignolo sinistro –
- Cristo…- l’ispettore si passa una mano nei capelli radi, poi si liscia i baffetti sottili e malcurati, prima di buttare nell’erba il mozzicone del sigarillo. È stanco, ansima ancora per la fatica di essere salito fin lassù: ha il pancione, la camicia spiegazzata infilata malamente nei jeans, gli stivaletti neri di pelle sono tutti graffiati. Insomma Carbone fa schifo: non è una posa la sua, non è volutamente trasandato, non è lo sbirro bello e dannato. È proprio così, fa schifo e basta.
I due poliziotti scendono il pendio del Monte Cretaio litigando a bassa voce, borbottandosi accuse reciproche. La vicequestora gli dice che ci manca solo un incendio appiccato nel boschetto da un poliziotto!
Ciro ribatte che con tutta l’immondizia e la merda di cavallo che c’è in mezzo a quelle piante un po' di fuoco purificatore farebbe solo pulizia!

COSTIERA AMALFITANA
COSTA PARADISO
Costa Paradiso è esattamente quello che promette nel nome, qualcosa di divino, un posto da togliere il fiato. Mare e montagna, è uno dei comuni più grandi della costiera e comprende anche la frazione rurale, contadina e collinare di Rocca Montebuono. Abitata sempre dalle stesse famiglie dalla notte dei tempi – contadini, pescatori e un piccolo notabilato di gentiluomini di campagna - pur avendo riconvertito la propria economia, come tutte le località costiere della Campania, votandola quasi esclusivamente al turismo, grazie ad una classe dirigente di oculati amministratori, ha mantenuto le tradizioni, le usanze, i prodotti e i piatti tipici in funzione promozionale verso i cosiddetti villeggianti. È una cittadina piccola e ricca: mare azzurro cristallino che s’allarga davanti al porticciolo, tanti ristorantini con il pergolato e la tettoia di pagliarella che servono deliziosi piatti di pesce, cucinando il fresco pescato locale che i paranzini mettono nel piatto fuori ai locali direttamente quando scendono dal peschereccio, come da tradizione. C’è anche vita a Costa, non è un paese per pensionati: american-bar con musica di ogni genere per i ragazzi che d’estate arrivano sul lungomare da tutto l’entroterra, qualche night club alla moda, esclusivo, tessere per soci e tutto il resto. Insomma tutto sarebbe perfetto, se non fosse che su quell’angolo di paradiso è scesa un’ombra nera per la seconda volta nella sua storia.
Qualcuno ha rapito la nipote del Sindaco, l’avvocato Vittorio Costanzo.
La ragazzina è figlia della dott.ssa Mia Costanzo: magistrato, figlia unica del sindaco di Costa, donna tosta, tutta d’un pezzo, impegnata da sempre in battaglie sociali, nella tutela dei diritti e nella difesa delle minoranze e delle fasce deboli, esperta in diritto familiare, paladina delle donne vittime di violenza. A Costa è amatissima e tutti danno per scontato che alle elezioni comunali di inizio estate, quando l’anziano genitore non potrà ripresentarsi per un altro mandato, sarà lei a stravincere a mani basse. I Costanzo sono i regnanti locali, una vera dinastia di professionisti che, fin dall’inizio del ‘900, è vista dalla popolazione del piccolo paesino come quelli a cui chiedere aiuto, sostegno e protezione legale, visto che sono tutti avvocati da sempre in quella famiglia. Mai avuto un problema con la giustizia, mai un avviso di garanzia, mai una strizzatina d’occhio neppure per sbaglio alla criminalità organizzata – che pure è presente in quei luoghi, ma a basso voltaggio visto che gli affari li fa altrove e vuole che Costa resti il paradiso che è, dove i loro clienti vadano solo a consumare. Il nonno dell’avvocato Costanzo è stato sindaco di Costa, come il nipote. Il padre è stato per lunghissimo tempo assessore al comune e poi consigliere provinciale. I Costanzo, anche se ricchi e stimati, non sono mai stati percepiti come dei nobili blasonati o dei campioni della borghesia, ma come brava gente, gente nostra, gente come noi: non serve chissà quale spiegazione sociologica per tutto ciò, nella vita semini quello che raccogli e i Costanzo hanno seminato bene. Sono sempre stati in mezzo al popolo, quello vero. Hanno aiutato dove potevano, hanno difeso, hanno fatto gratuito patrocinio tante di quelle volte che il Sindaco per scherzare dice che ci sono stati anni che avrebbe potuto aprire una salumeria… tanta era la caciotta, la mozzarella e i salamini piccanti che gli portavano i clienti poveracci al posto dei quattrini! Adesso tutto questo passato glorioso non interessa più a nessuno di loro, né all’avvocato, né a sua figlia, né a nessuno della famiglia. Qualcuno ha rapito la loro unica ragione di vita, la loro principessa, la luce dei loro occhi: Beatrice, detta Bea, 12 anni, una ragazzina stupenda dai lunghi capelli castano chiaro, simpatica e intelligente, tra le prime della classe, piena di allegra e sbarazzina ironia. Il nonno ogni volta si squaglia davanti all’irresistibile sorriso della sua adorata nipotina!
- Sì, signor Sindaco… abbiamo capito, ma non si agiti – dice con tutta la delicatezza di cui è capace (ed è davvero poca) il commissario Senese dell’UCS.
Ranieri, capo dell’unità speciale della polizia italiana che indaga sui crimini seriali, ha inviato a Costa l’artiglieria pesante: Antonio Senese, oltre ad essere il suo braccio destro, è l’ariete del suo team, quello che si muove sul campo senza risparmio, pronto a mettere le mani nella merda o nel sangue o addirittura in pericolo la sua stessa vita se ce n’è bisogno, lasciando agli analisti il lavoro di laboratorio, il tempo e la concentrazione per tirar fuori dalle prove raccolte gli indizi decisivi per risolvere un’indagine. Ma se vi aspettate un tipo alla Bruce Willis… al massimo pensate al fratello grasso: Antonio s’è rimesso in sesto, non lo si può negare, è dimagrito, ha (quasi) tolto di mezzo l’acool, le bevande gasate e i cibi fritti. Ma ha comunque superato i 50, le rughe si vedono, i capelli rasati a zero, se li lasci crescere, sono bianchi e col tempo che passa non recupera certo il fiato per fare un inseguimento o il tono muscolare per sfondare una porta  a spallate. Il look è sempre lo stesso, anche se meno trasandato: baffoni sale e pepe, occhialoni da sole, giubbotto di pelle anche col caldo torrido, camicie fantasia, jeans e Tod’s ai piedi. L’avvocato lo guardo cupo, Senese non è il suo tipo:
- Se avete capito quanto siamo disperati… allora diteci cosa avete trovato. Adesso! –
Costanzo è abituato a dare ordini ed essere obbedito all’istante.
Sono al commissariato di Polizia, c’è tutta la famiglia (Vittorio con la moglie Tilde, Mia e il suo compagno che non è il padre di Bea, scomparso tanti anni prima, inoltre gli amici Fedele e Marilena Boccia, lui braccio destro dell’avvocato da una vita, lei amica della signora)
Il commissario sostiene lo sguardo, ne ha passate così tante che ormai non si fa intimidire manco dal diavolo in persona:
- Ci sono… ehm… questioni legali da esaminare. Se potessimo parlare tra di noi, io, lei e sua figlia. Non c’è bisogno di annoiare le signore, l’avvocato Boccia e…–
Mia capisce al volo, Senese butta fuori tutti. Non è il caso di avere pubblico che può dare i numeri, quando sentiranno ciò che sta per dirgli. Sta per rivelare loro qualcosa di orribile? Hanno trovato il corpo di sua figlia? Bea è morta?! Mia lascia andare un gemito gutturale nel quale tutti i presenti riescono ad avvertire il peso angosciante del suo dolore: - Dio… Oddio, ti prego Antonio… -
Sua padre capisce che è il momento di prendere in mano la situazione: si alza, abbraccia sua moglie che già sta per scoppiare in lacrime e l’amica Marilena, accompagnandole alla porta. Le fa uscire, poi si volta e indica il suo braccio destro, l’avv. Boccia: - Fedele resta, naturalmente. Parli commissario, mia nipote è stata… L’avete trovata? –
Forse per la prima volta nella sua vita, la voce dell’avvocato Vittorio Costanzo s’incrina, risulta lievemente stridula, come quella di un vecchio capriccioso che non vuol prendere le medicine, che si rifiuta di accettare il fatto che è proprio quello: un vecchio, nient’altro che un vecchio nonnino impotente, davanti all’eventualità che sua nipote sia stata barbaramente assassinata.
- No – dice il commissario Senese – Non abbiamo trovato Bea e non abbiamo motivo di dubitare che sia viva –
Mia Costanzo lascia andare un sospiro che diventa un gemito…
La dott.ssa Mia Costanzo, il magistrato dai nervi d’acciaio, la p.m. – come la chiamano per prenderla in giro in procura – alludendo alle forme perfette dei suoi seni con le iniziali di punta-di-matita invece che pubblico ministero… di solito è una donna molto bella, elegante, dal fascino delicato. Capelli neri, corti tagliati alla maschietto, longilinea e dalle gambe lunghe tenute spesso scoperte sotto i tailleur dai colori pastello, carnagione chiara sulla quale spiccano due enormi occhioni neri.
- O… Oddio, ti ringrazio – riesce a balbettare, mentre la mano destra, che tenta di portarsi alla fronte, prende a tremarle convulsamente.
Adesso è un'altra persona, un mezzo relitto umano, il viso gonfio e tirato, gli occhi iniettati di sangue, spettinata, in pantaloni della tuta e polo bianca, nessuno l’ha mai vista in quello stato.
- Dottoressa Costanzo – le si rivolge Senese – Mia… adesso ho bisogno di lei, di sentire dalla sua bocca cos’è successo, come è stata rapita Bea, tutto il racconto –
- Cosa avete? – risponde lei, asciugandosi gli occhioni con la manica della t-shirt - Voglio sapere esattamente cosa avete trov… -
- No! – ribatte duramente Senese – Non è così che funziona e lei lo sa benissimo. In quest’indagine lei non è il pubblico ministero ma un testimone, al massimo la parte lesa. Deve rispondere alle mie domande e deve farlo adesso! –
L’avvocato Costanzo, che s’è lasciato cadere sulla sedia di fronte alla scrivania di Senese con un lungo sospiro, allarga le braccia:
- Cerchiamo di darci tutti una calmata, commissà –
Senese lo stoppa alzando una mano e stringendo le labbra come un macigno piazzato al centro della carreggiata, da lì non si passa:
- Avvocato, lasci perdere. Non cominci neppure perché non vi consentirò di dare le carte. Siete sotto pressione e… -
- Senese, abbassi i toni. Io sono sotto pressione da prima che lei sparasse la prima cartuccia della sua vita! –
Il commissario sorride ma non si smuove: - Non mi interessa, avvocato. Quello che posso assicurarvi è che sono in campo le migliori forze investigative a livello nazionale per ritrovare la vostra bambina… -
Già questa dichiarazione fa tremare i polsi a Mia e suo padre. La loro è una famiglia importante, stimata, ma quello spiegamento di forze non è dovuto certo al loro blasone. Sanno chi è Senese, sanno chi è Marco Ranieri e cos’è l’Unità per i Crimini Seriali. Sono entrambe persone di legge, non hanno bisogno di chissà quale arguzia intuitiva per capire cosa sta succedendo.
- …Ma non posso consentire che sia la vostra famiglia a dettare i tempi dell’indagine o affiancarci nell’analisi degli indizi raccolti, come se sua figlia fosse il magistrato incaricato e non la madre della bambina! –
- Allora ci sono indizi raccolti? – non si arrende Mia
Senese si alza in piedi e dà una doppia manata potente sul tavolo con entrambe i palmi: - Basta così! O lei risponde alle mie domande o questa conversazione finisce qui. Non ho tempo da perdere –
Fedele Boccia, anima buona e carattere pacato, consigliere silenzioso di Vittorio Costanzo fin dai tempi dell’università, prende la parola per la prima volta e come sempre è per trovare una sintesi:
- Vittò, per favore… facciamo così, Mia adesso risponde a tutte le domande e dopo il commissario ci dice quello che ci può dire, va bene?
L’avvocato sbuffa e guarda sua figlia. Mia annuisce.
Si tira su, sulla sedia, e racconta…

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