Chiacchierando con Antonio Castronuovo: scrittore ed editore di "nicchia"

Qualche anno fa ho conosciuto Antonio Castronuovo per caso. Dopo aver letto la plaquette scritta da Pasquale Langella e pubblicata da Babbomorto Editore, mi sono messa in contatto con l'editore per saperne di più. Quando erronemanete ho definito i testi che pubblicava dei libri, mi ha detto: "Io stampo solo plaquette, al fine di raccogliere gli amici scrittori attorno a un focolare del sorriso e dell'amicizia". Col tempo mi sono resa conto che l'amicizia e la stima che lo circondano sono profonde e vaste.
Nel fare ricerche per questa intervista, sono rimasta colpita dalla vastità degli interessi di Antonio; parlandone con Berni mi ha dato una spiegazione davvero singolare, ma veritiera: "Castronuovo prima di questa ha vissuto altre due vite. Gliene rimangono ancora quattro. Ergo, Antonio Castronuovo è un gatto". Alla fine dell'intervista non potrete che essere d'accordo con Berni.
Ma procediamo con ordine.




1. Lei si è laureato in medicina all’Università di Bologna nel 1979 e nella stessa città ha anche studiato al DAMS-Musica. Cosa l’ha portata a scegliere due strade così diverse e che la indirizzavano verso carriere apparentemente incompatibili?
Sono due passioni che mi hanno ugualmente accompagnato nella vita: la medicina (ho lavorato tutta la vita come consulente per la sicurezza dei luoghi di lavoro e ho studiato parecchio la storia della medicina) e la musica. In certo modo le nutrivo già in quegli anni e ho dato sfogo a entrambe. La prima è stata il lavoro che mi ha dato il pane, la seconda quella del cuore, che ho poi sempre coltivato. Non a caso, il mio primo libro, uscito nel secolo scorso, è un grosso volume dedicato al compositore Bartòk: illeggibile e mal stampato, oggi lo guardo come un oggetto che testimonia di come, all’inizio di un qualunque percorso di scrittura, domina la pesantezza.

2. Per ben 15 anni ha diretto la rivista «La Pîe», specializzata in saggi storici e letterari di cultura romagnola.
Mi fu offerta la direzione di questa rivista nel gennaio del 2004: ho lasciato la direzione alla fine del 2018. Mi chiesero di occuparmene perché vivo in Romagna e perché provenivo da esperienze con riviste locali: avevo diretto negli anni precedenti sia «Asterischi» e sia «Cartapesta», piccole riviste letterarie. Quella con «La Piê» è stata esperienza molto bella, anche se faticosa: ha implicato un impegno quasi quotidiano. Alla fine sono venute meno le condizioni per andare avanti, e ho lasciato, dirigendomi altrove, esattamente su Milano: oggi sono alla vice-direzione di «Biblioteca di via Senato» e nella redazione della rivista dell’«Associazione Librai Antiquari d’Italia». Sono entrambe rivista di storia del libro e dell’editoria, una delle aree che oggi mi affascinano di più.





3. Lei è autore di saggi su argomenti particolari, come Ossa, cervelli, mummie e capelli ma anche Suicidi d’autore. Un punto di vista diverso dal quale guardare uomini e donne che hanno fatto tanto per l’umanità. Mi piacerebbe sapere perché e quando sono nate le idee per questi saggi.
La mia è una scrittura di “nicchia”: mi impegno su temi curiosi, anche strani se vuole. Non è una mia scelta razionale, non posso insomma dire che esista un progetto preciso: sono idee che sorgono per caso, guidato dall’interesse del momento. Resta inteso che non sono capace di fare narrativa e poesia. La mia è una scrittura saggistico-narrativa: racconto fatti reali, ma con lo stile di un racconto, senza nessuna sovrastruttura erudita o accademica.




4. Il catalogo della casa editrice Stampa Alternativa raccoglie molti dei suoi titoli. Un vero e proprio sodalizio quello tra lei e questa casa editrice.
Ho una buona amicizia col fondatore, Marcello Baraghini, che oggi dirige l’etichetta Strade Bianche a Pitigliano e gestisce in quella città, in via Zuccarelli, uno degli “antri” librari più interessanti d’Italia, assolutamente da visitare. Ho cominciato ormai molti anni fa in sordina, producendo un paio di quei fenomeni che erano i “Millelire”, straordinaria invenzione editoriale degli anni Ottanta. Sono due titoli oggi finiti nel piccolo antiquariato. Ricordo con piacere il primo, Elogio della mosca di Luciano, ma soprattutto ricordo la festosità con cui Marcello accolse la proposta. Da lì è cominciato un profluvio di collaborazioni: credo di essere stato l’italiano che ha prodotto più “Millelire”, circa 18 titoli. Poi la collaborazione s’è ampliata e ho pubblicato con Stampa Alternativa anche miei libri e traduzioni, tra cui una fortunata raccolta di racconti di Irène Némirovsky, L’incendio e altri racconti, che uscì nel 2013. Il termine da lei usato è esatto: quello con Marcello è stato un vero sodalizio, che non si è spento quando la sua vicenda editoriale è cambiata e da “laziale” s’è fatta “toscana”.



5. Tra i suoi numerosi interessi ci sono anche l’aforistica e la patafisica.
Ho numerosi interessi perché sono nato dilettante: è la mia natura. Seguo gli interessi che mi attirano. Voglio che la scrittura sia per me una cosa rallegrante, non un sepolcro di noia e mestizia. L’aforistica mi è giunta spontanea: giudico l’aforisma la forma breve più interessante che ci sia in letteratura. Pubblicai nel 2006 una collezione, Tutto il mondo è palese, che ebbe una segnalazione al premio “Torino in Sintesi” e che, soprattutto, mi procurò la cooptazione nella giuria del premio stesso: un’esperienza bellissima, che perdura grazie all’energia di chi ha fortemente voluto che il premio nascesse, la scrittrice torinese Anna Antolisei. Da allora ho lavorato molto in quel campo, producendo saggi sul tema e curando un numero speciale dedicato all’aforisma della rivista «Il lettore di provincia».
La patafisica è altra cosa: è il mio lato ludico che mi ha portato verso quel campo. Ho scritto alcune cose, anche con pseudonimi, e mi sono meritato una reggenza nel “Collage di Patafisica”, come si chiama l’istituto italiano che, raccogliendo vari soggetti di varie discipline, è appunto un “collage” più che un “collegio”. Oggi il Collage è “in sonno”, e tuttavia la patafisica continua ad agire negli animi. Non le spiego cosa è la patafisica perché nemmeno io lo so: diciamo che la “sento”, e ciò è sufficiente.

6. È autore di una decina di saggi sul futurismo. Le interessa solo come studioso o anche come collezionista?
Il futurismo è una stagione della nostra cultura che ha esercitato su di me grande attrattiva. Ne ho studiato aspetti “regionali” e ho prodotto libri che ancor oggi sono ricercati: studi sul futurismo a Ravenna, a Rimini, a Lugo di Romagna e a Imola. Il programma era di produrre la rosa intera di studi sulle città romagnole: ma poi la vita cambia, cambiano gli interessi e sono andato altrove. Non le nascondo che oggi il futurismo un poco mi annoia, e ne colgo i lati stucchevoli. E la cosa mi soddisfa: resto una persona di libero giudizio, non mi lego a nulla. Credo – come diceva Longanesi – che solo gli sciocchi non cambiano mai idea nella vita. Fortunatamente non mi sono fatto acchiappare dal demone del collezionismo, sarebbe stata una devastazione, per i costi e per la mania di avere tutto. Possiedo qualche pezzo, soprattutto una tela a olio neo-futurista, ma quasi nulla più. Rifiuto il collezionismo: è una forma mentale secondo me un po’ patologica...

7. Nel 2017 ha fondato Babbomorto Editore. Una scelta coraggiosa in un paese in cui si legge sempre meno.
L’idea non era mirata a far leggere, ma a far scrivere. È paradossale in un’Italia in cui ci sono più scrittori che lettori, ma è così: la mia idea era raccogliere attorno a me amici che semmai scrivono grossi volumi oppure non scrivono affatto. Volevo ridurli a fare qualcosa di brevissimo e leggero, oppure a provarsi nella scrittura. Il progetto è riuscito a metà, visto che sono accorsi parecchi amici-scrittori, ma ho in catalogo anche persone alla loro prima esperienza: un buon esempio è il libraio napoletano Pasquale Langella, che con O ’libraro ha prodotto credo il suo primo testo creativo personale. Oggi Babbomorto Editore conta circa 110 titoli, tutte sottili plaquette di poche pagine e prodotte in poche copie, e ha anche avuto l’onore di un catalogo ragionato pubblicato da un diverso editore, Biblohaus di Macerata. Vado avanti, la cosa mi piace, mi diverte e mi arricchisce. Non mi chieda, come molti fanno, perché ho chiamato la mia idea Babbomorto: non lo so, è la classica invenzione che viene di notte...




8. Può svelarci qualcosa sui suoi nuovi progetti?
Sto lavorando a un nuovo libro, ma sono in una fase ancora embrionale e poiché sono incerto di riuscire a portarlo a termine, taccio sul soggetto. Sta poi prendendo forma una collaborazione con l’editore milanese Luni. Ma la cosa che adesso più mi “attizza” è che vorrei far rinascere la rivistina «Cartapesta», con un taglio sintetico (saggi a francobollo, recensioni brevissime) e assolutamente su carta, di cui sono un paladino conservatore. All’orizzonte si affaccia un minuscolo finanziatore; dovrei riuscirci e, dovesse accadere, Mary Marzocchi ne sarà subito avvisata.

4 commenti:

  1. Conosco personalmente Antonio, che (quando può) collabora con l' Associazione Ippogrifo. Vivere la scrittura. Gestisco i contenitori social, il sito e il blog dell' Associazione. Ottima intervista, molto interessante, complimenti.
    Il sito è qui: https://www.ippogrifoviverescrittura.com/

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  2. La ringrazio. Darò volentieri un'occhiata alla pagina

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  3. Salve, ho trovato il suo articolo tramite facebook. Nutro tantissima stima per Antonio Castronuovo e come persona e come editore/autore. Mi sono permessa di condividere questa pagina sul mio blog L'Isola di E'riu (amaramareedamore.blogspot.com)
    Spero non sia un problema... grazie!
    Antonella Borghini

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  4. La ringrazio di cuore per la condivisione

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